Inferno di plastica
In una calda domenica di inizio estate, qualcosa brucia. L’incendio è evidente e si manifesta a tutta la città. E, dopo un giorno di lotta con le fiamme, arriva anche il terreno che dovrà spegnere l’incendio. Insabbiando il focolaio. Sui social le notizie corrono ancor più rapide dei soccorsi: brucia Sele Ambiente. Che ricicla plastica. E rapida quindi corre sui social la sacrosanta paura, sminuita da alcuni commentatori al grado di “psicosi”.
Facciamo un po’ di chiarezza. Dalle voci raccolte, pare che a bruciare siano stati cumuli di materiale plastico lavorato e finito, ossia vendibile e fonte di reddito per l’azienda. Al momento non è chiara la natura dell’incendio, ossia se sia fortuito o doloso. Né il tipo di innesco. Se fossero confermate tali indiscrezioni (tutte da verificare), la letteratura scientifica ci dice che c’è la concreta possibilità che si possa essere prodotta diossina, un composto volatile che dal 1997 è stato classificato dall’Iarc (International Agency for Research on Cancer) nel gruppo 1 dei “cancerogeni per l’uomo”. Al momento non è chiaro se vi sia realmente questo pericolo, in quanto sono in corso dei rilievi dell’aria da parte dell’Arpac (Agenzia Regionale Protezione Ambiente Campania) e i risultati non sono ancora noti. Non abbiamo notizie di rilievi a campione nelle acque e soprattutto nei terreni circostanti. A poche ore dall’incendio, la sindaca di Battipaglia ha diramato un’ordinanza che imponeva ai cittadini residenti nelle aree ricadenti nel raggio di un chilometro dall’incendio di chiudere le finestre ed evacuare le zone ricadenti nei cento metri dal focolaio. A differenza di Battipaglia, il Comune di Eboli pare non abbia adottato nessun provvedimento a tutela della salute dei cittadini, eppure domenica il forte vento ha orientato quasi tutti i fumi verso l’area rurale di Eboli che in quella zona, inutile ricordarlo, è lastricata di serre per la produzione della quarta gamma.
I tanti “pare”, “sembra”, “voci raccolte” sono il primo problema che ha evidenziato questo incendio: una situazione del genere avrebbe avuto bisogno di una gestione dell’informazione più generosa, ufficiale e puntuale da parte delle autorità territoriali competenti. Soprattutto nell’epoca dei social. Che pure, invece, vengono utilizzati abbondantemente per dare risalto a notizie, tutto sommato, molto marginali. La mancanza di notizie e l’incertezza generano, ovviamente, paura. Non la si stigmatizzi, poi, come “psicosi”. Non è leale.
Ma questo incendio ha evidenziato (qualora ve ne fosse ancora bisogno) molti altri problemi. Tra essi, un atavico e lacerante contrasto tra l’autorevolezza che pretendono determinate situazioni e il mantenimento dei posti di lavoro, in un territorio, il nostro, che da una ventina d’anni è attanagliato dalla crisi lavorativa. Bisogna “mantenere la chiusura delle aperture delle abitazioni e delle attività commerciali, industriali e di servizi al fine di prevenire un possibile passaggio di inquinanti, compresi gli impianti di aerazione forzata” (ordinanza del sindaco 198 dell’11/06/2017) o continuare a produrre? La produzione necessita di carico e scarico materiali, quindi di portali aperti. Quindi? Cosa vale? Ma soprattutto, chi deve far rispettare l’ordinanza? Di certo è che, a ordinanza non ritirata, molti lavoratori ricadenti nell’area individuata e vincolata sono andati a lavorare. Spesso non tanto spontaneamente. Con tanta paura. Con una mascherina, una bottiglietta d’acqua e qualche succo di frutta per lenire i bruciori di gola.
E con un “Dio ce la mandi buona”.
Le colpe vengono da lontano. Certo. Da un patchwork urbanistico che ha mischiato residenzialità, agricoltura, commercio e industria. Ma diventano colpe gravi e nostre nel momento in cui, a problema noto, non si dà la svolta (sempre sbandierata) che il problema merita: non ancora gli indirizzi politici ed economici, non ancora i piani e né tanto meno ancora le scelte. E quindi le esigenze della popolazione cozzano con le esigenze delle aziende chimiche, che cozzano con le esigenze delle aziende agricole (che temono anche il danno d’immagine da questo incidente), che cozzano con le esigenze dei lavoratori, che cozzano con le esigenze di sicurezza ambientale e dei luoghi di lavoro, che cozzano con il mantenimento delle produzioni e dei posti di lavoro.