La bomba in testa | di Lucio Spampinato

Ecco, ci risiamo! Di nuovo una bomba! Ora ricomincerò  con le notti insonni a domandarmi se sia inglese o americana, il suo potenziale distruttivo, se le spolette di coda e di naso siano ancora integre,  quale aereo l’abbia sganciata: Stirling, Lancaster, Wellington, Spitfire, B-17 Flying Fortress. Insomma, sarà un travaglio finché non verrà rimossa. I periodi come questo li ricorderò per sempre per i sogni che mi hanno lasciato: sogni che sembrano venuti da altre epoche e che fatico a considerare miei, così slegati come sono dal mio vissuto. Di allarmi bomba ne ricordo quattro. L’ultimo in ordine di tempo sembrava una vera evacuazione per bombardamento. Intanto, fu scelta la data dell’8 settembre: ironia della sorte? Se non fosse che un po’ tutti poterono approfittarne per una gita fuori porta e, di certo, non mancavano i beni essenziali né si dovette ricorrere alla borsa nera. Ma dicevo i sogni! Poiché è  tanto tempo che non ricordo i miei sogni dei periodi “normali”, presumo che fosse la parziale insonnia, alternata a brevi dormite, che mi abbia permesso di averne un ricordo chiaro. Una volta ho sognato un’alba di primavera, dopo un acquazzone. Ero in un campo di erbe alte, uniformi. Stavo nella piana, verso il mare e si vedevano limpidi i Picentini e in particolare il monte Sant’Elmo. Soffiava un vento fresco che sapeva di montagna. Ad un tratto, uno stormo di aeroplani cominciò ad avvicinarsi. Io restai a bocca aperta a guardarli. Erano quasi su di me quando all’improvviso un uomo mi spinse a terra e quelli cominciarono a mitragliare: ci mancò poco che non mi falciassero. Poi l’uomo, che aveva il volto di mio nonno, sorridendo mi offrì un pezzo di pane con del formaggio. Lui era vestito di fustagno, indossava stivali e sorseggiava vino: fumava un fermentato. Ebbe appena il tempo di chiedermi ”Sai chi sono io?” e la sua immagine si dissolse nella fumea azzurrina del suo sigaro. Il senso di quel sogno mi sembrava un’inconscia necessità di rimettere in discussione un tempo mai vissuto, come se il mio sangue volesse regolare conti non miei ma di quelli che mi si agitavano dentro. Un’altra volta sognai l’uscita di scuola e i ragazzi che si precipitavano fuori gridando. In pochi istanti sparirono quasi tutti, tranne un piccolo gruppo rimasto a ridosso di un muretto. Suonavano una chitarra e cantavano. Mi avvicinai. Al centro, John Lennon cantava A day in the life. Si alzò 
e venne verso di me porgendomi la mano. Mi disse: «Sai, anche Liverpool è stata bombardata dai vostri alleati crucchi. Per fortuna, il campo dietro l’orfanatrofio è ancora intatto. Ogni tanto ci torno, ancora oggi. Mi credi? Sei sulla mia lunghezza d’onda? Perché l’essenza rimane, credimi, rimane oltre ogni guerra e ogni pace». Mi risvegliai sereno. Come se avessi compreso non so quale profonda verità. Forse, non si dovrebbe mai scomporre tanto presto ciò che si è costruito. Forse, lo zuccherificio doveva restare dov’era. Forse, bisognerebbe lasciare le cose alla loro quiete, non disseppellire il passato. Forse, riavvolgere il nastro della storia offre nuove possibilità, fossero solo oniriche, a ciò che avrebbe potuto essere ma che non è  stato.

23 settembre 2023 – © riproduzione riservata

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