La rivolta del recensore | di Lucio Spampinato
All’ennesima pressione del direttore di far pervenire un pezzo, il recensore si sedette alla scrivania e cominciò a battere sui tasti il suo messaggio: «Egregio direttore! Le rappresento tutto il mio rincrescimento per questa sua moral suasion velatamente minacciosa e votata ad ottenere recensioni periodiche sempre più ravvicinate dei libri che di consueto pubblica presso la sua casa editrice. Sat prata biberunt! Non voglio più passare in rassegna e presentare opere vuote, fenomeni da baraccone spacciati per scoop da premi letterari, scritti da professionisti delle più varie arti prestati alla scrittura ma non di certo alla letteratura. Tornassero a fare i giudici, gli avvocati, gli insegnanti, i sindacalisti, i cardiologi, i cantautori, i notai! Almeno in questo, ragionieri e commercialisti mi sembrano più seri e concreti, evitando di cimentarsi nelle belle lettere. Non se ne può davvero più di costoro che, nella foga di realizzare il verisimile, avendo come unico scopo il ritorno lucrativo o un’effimera fama, stressano talmente la realtà da trascinare il vero nei territori dell’inverosimile, passando dal risibile e talvolta persino per il grottesco. In tutto ciò, ignorando il potere affabulatorio del fantastico. Mi porti un poeta che a ventun anni abbia già scritto tutto e che ha smesso di scrivere, diventando immortale! Mi porti, se ne è capace, un reporter da un paese di guerra o che abbia risalito il Congo o lo Xurandò, rischiando ad ogni passo le ossa, il vitto, gli affetti e la follia! Si sente la necessità di narrazioni che scavino nelle profonde ragioni del tradimento dell’amore nelle inesauribili forme di esaltazione della corporeità, tanto esuberanti quanto vacue; novelle che indaghino fra le miserie e i castighi della vita costretta e sprecata quale è quella degli ultimi; racconti che dispieghino lo sguardo su deserti, taighe, praterie montane, calotte polari, oceani tempestosi e su terrificanti discese ad un qualche maelström; cronache di delitti efferati in luoghi santi, di indagini e inquisizioni, di confessioni estorte e di redenzioni. Invece, sono stato letteralmente risucchiato in resoconti insulsi senza ossatura né scorza, in romanzi verbosi di mille pagine e dalla consistenza letteraria di una lallazione. Sono stato invischiato, e diciamo pure incastrato, in serate di presentazione di cotanti capolavori. In contesti deprimenti, per l’insussistenza delle opere, fra amici e parenti dello scrittore di turno, mi sentivo davvero l’unico ad essere destinato alla sensibilità e mi identificavo con (anzi ero proprio) Jep Gambardella. In conclusione, egregio direttore, mi dimissiono da questo lavoro augurandole di scoprire tanti altri talenti che, prima di pubblicare per i suoi tipi, se ne digita il nome in rete al massimo trova il loro libro autoprodotto e pronto alla vendita su Amazon. È evidentemente questa la sua vocazione! Io parto per la Patagonia. Mi aspetta un rifugio nella Terra del Fuoco in un piccolo borgo di pescatori dove nulla vale un inverno in compagnia di una buona scorta di cognac e dell’opera completa di Simenon*».
*Citazione da Luis Sepulveda.
4 novembre 2023 – © riproduzione riservata