La violenza silenziosa
[di Anna Cappuccio, pisicologo*]
Esiste una violenza nascosta, silenziosa che non lascia ferite sul corpo, ma solchi profondi nell’anima. È una violenza subdola perché non è evidente e chi la subisce, spesso, non riesce a riconoscerla perché completamente prigioniero del vortice manipolativo in cui è stato risucchiato.
Per indicare questo atteggiamento insidioso e ripetitivo, lo psicoanalista Racamier utilizzò il termine Décervelage (decervellaggio).
Si tratta di un vero e proprio lavaggio del cervello, un abuso emotivo, una manipolazione psicologica e relazionale, manipolazione che tende a confondere la vittima attraverso una messa in discussione dei suoi pensieri e dei suoi ricordi e mettendo in dubbio la sua percezione della realtà. Questo per confondere il partner e minare l’immagine di sé e la propria autostima in modo da poter acquisire il controllo sulla sua vita e sul suo modo di pensare.
Le strategie sono molteplici, ma tutte subdole e non facilmente riconoscibili. Tendono a criticare il modo di essere del partner, a svalutare le sue passioni, i suoi desideri, i suoi bisogni. Nel tempo il manipolatore si relaziona con il partner in modo contraddittorio, nega la parola per punire se non condivide il suo comportamento, la comunicazione è distorta da battute sarcastiche per evidenziare sbagli e disubbidienze, mentre fornisce messaggi positivi attraverso complimenti e parole affettuose solo se accondiscende alle sue richieste. Questo porta confusione nella vittima che, nelle fasi iniziali della relazione, prova a instaurare un dialogo con il partner, cerca di uniformarsi alle sue richieste, arrivando ad annullare il proprio modo di essere per rispondere in pieno alle sue aspettative. Crede che, così facendo, riuscirà a convincere il partner che le sue convinzioni sono sbagliate. L’inefficacia degli sforzi attuati alimenta la rassegnazione, la convinzione di non valere, di non essere all’altezza e un completo adeguamento al modo di pensare del partner. È questa la fase della depressione profonda in cui ci si convince di non valere niente.
Quando si sviluppa una relazione così disfunzionale? Quando il bisogno di controllo e di potere del manipolatore incontra la necessità di idealizzazione da parte di una persona che ha bisogno di approvazione per sentirsi brava ed adeguata.
Esiste una via d’uscita da un rapporto tossico che toglie identità e risorse? Il primo passo, quello fondamentale ma anche il più difficile, è riconoscere la violenza ed accettare che la persona che si ama non può essere cambiata. Il passo successivo è sentire che il proprio valore è qualcosa che non dipende in alcun modo dall’approvazione degli altri. Infine, non avere vergogna di cercare il calore dei familiari e degli amici che il partner aveva fatto allontanare. Bisogna sempre ricordare che ricostruire la fiducia in se stessi può essere un percorso lungo e faticoso, ma pienamente realizzabile e che, se ci si sente troppo feriti per rialzarsi, può essere utile chiedere un aiuto specialistico per essere sostenuti nel superamento del trauma.
*Anna Cappuccio – pisicologo clinico, psicoterapeuta
13 novembre 2021 – © riproduzione riervata