La voce del pedone
[di Ernesto Giacomino]
S’è sempre detto che Battipaglia ha la viabilità intortata per quel fatto di essere una città urbanisticamente segata in quattro fette: prima e dopo il Tusciano, prima e dopo la ferrovia. Fesserie, oggi. Il vero manicomio, quello che in più di ottant’anni non sono riusciti a fare nemmeno quel rigagnolo di fiume che ci passa sotto la pancia e quella stazione piazzataci in pieno centro come un insaccato tra il pane, oggi lo crea da solo – e con effetti triplicati rispetto al passato – un breve, misero, insulso passaggio pedonale. Quello tra via Italia e piazza Amendola.
Nelle ore di punta l’effetto ottico è quello dell’esodo di massa tipico dei film catastrofici. Si stenta a credere che code d’auto che partono un paio di chilometri prima – dalla rotatoria di via Belvedere in poi da un lato, da oltre i semafori di via Rosa Jemma dall’altro – siano provocate dal passo al trotto di qualche decina di viandanti che attraversano da una strada a una piazza per rinverdire la pseudo-movida locale. Eppure, tant’è. È scienza, evidenza. È contingenza.
Qualche numero fa ci scrissi pure, su quella questione d’aver ridotto i passaggi pedonali da due a uno (per quanto bellissimo, nevvero, con quell’effetto piastrellato che fa very naif). Dissi che temevo che stipare il flusso migratorio dei pedoni in quell’unica manciata di strisce (apparentemente, una riduzione innocua e impercettibile) avrebbe mandato in tilt il traffico di via Mazzini. E beh, ero stato fin troppo ottimista. Oggi, la situazione, quel tilt lo ha superato: è saltata proprio la corrente, s’è staccato il contatore, è arrivato il blackout e il tecnico dell’Enel con tanto di pinze per slacciare la fornitura. “Viabilmente” parlando, il collasso. Tant’è che, per paradosso, l’intero traffico della città risulta molto più agevole quando c’è la ZTL, con l’intero corso chiuso al transito.
Parliamo di vivibilità, inquinamento, polveri sottili, e poi permettiamo che decine (centinaia?) di auto sostino in coda per decine di minuti, a motore accesso, nel tratto a più alta densità di passanti della città. Va trovata una soluzione, e va trovata subito. I danni per il caos, per l’aria, per l’inquinamento acustico non aspettano se e ma, per uscire fuori.
Non ipotizzo soluzioni svizzere tipo sottopassaggi o sopraelevate pedonali (con i riguardi che abbiamo verso i disabili le costruiremmo di certo in modo da essere non semplici barriere, ma muraglie cinesi architettoniche), ma da che ricordo io un secoletto fa fu inventato un meccanismo sfizioso chiamato semaforo (e lì, peraltro, tra via Italia e piazza Amendola, c’è stato almeno fino alla fine degli anni ’70). Almeno per tamponare, va’.
Ma la soluzione più ovvia – quella che avrebbero trovato Comuni un po’ più lungimiranti di noi – sarebbe semplicemente di aggirarlo, quel tratto di strada. Magari non sempre, solo in certi orari. Che ne so, magari recuperando il transito (sempre per un numero di ore limitato) su quell’ex strada davanti alle De Amicis ora piastrellata e divenuta cortile d’accoglienza di quel monumento ai “Non nati” (di cui poco ci tange, in verità: lo si potrebbe riposizionare ovunque nella piazza stessa, magari reintitolandolo ai “Non morti per crisi depressive conseguenti al traffico”). Si potrebbe entrare da una traversa, aggirare la piazza e uscire dall’altra.
Chiaro che questa è un’ipotesi buttata là, magari la si affina o si pensa a roba analoga. Il guaio è che la fantasia non c’è mai mancata: è la voglia, magari, che va ordinata altrove.
18 luglio 2013 – © riproduzione riservata