L’autonomia differenziata, una secessione mascherata

[di Rodolfo Pierri]

Per l’art. 116 della Costituzione, modificato nel 2001, lo Stato può consentire alle Regioni di legiferare su 23 materie; un numero francamente eccessivo, visto che molte hanno rilievo strategico e nazionale, per cui decentrarle significa smembrare l’Italia e ridurla a tanti piccoli Stati (si pensi alla follia di diversi sistemi di istruzione che la norma consente), a scapito dell’unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.) e della storia che 160 anni fa ha portato all’unificazione italiana.

Nel 2017 tre Regioni hanno avviato le procedure per l’ampliamento dell’autonomia: il Veneto ha chiesto la potestà legislativa per tutte le 23 materie, la Lombardia per 20, l’Emilia-Romagna per 16. Altre Regioni intendono fare lo stesso o l’hanno già fatto (nel 2019 la Campania ha indicato 7 materie). Le Regioni chiedono, insieme alla più ampia potestà legislativa, anche una parte dei rispettivi gettiti fiscali: per esempio, il Veneto vorrebbe trattenere il 90% di Irpef, Ires e Iva dei propri contribuenti. In questo modo si ridurrebbero le risorse nazionali che servono per recuperare, secondo il principio costituzionale di solidarietà sociale ed economica, gli squilibri esistenti e permettere alle Regioni più deboli di allinearsi alle altre zone del Paese.

Intanto, nonostante dal 2001 sia previsto che lo Stato istituisca “un fondo perequativo… per i territori con minore capacità fiscale per abitante” (art. 119 Cost.), la legge attuativa ancora manca, né è in cantiere: per questo evidentemente si può aspettare, ma nel frattempo si applicano al Sud inadeguati meccanismi di distribuzione delle risorse per rimuovere le sempre maggiori ingiustizie. Per contrastare le iniquità devono essere determinati anche i “livelli essenziali delle prestazioni [LEP] concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territiorio nazionale” (art. 117 Cost.), ma pure questa misura è inattuata da oltre 20 anni (il Governo Draghi aveva finalmente predisposto il provvedimento, poi bloccato soprattutto dallo stesso partito che ora tanto spinge per l’autonomia regionale differenziata).  

I LEP e i relativi fabbisogni standard sono tuttavia indispensabili per superare il criterio della “spesa storica” e tentare di iniziare a porre rimedio alle disomogeneità territoriali: nel 2020, degli oltre mille miliardi di spesa pubblica per politiche sociali, sanità, opere pubbliche, ecc., al Centro Italia è stato destinato un importo medio per abitante di 20247 euro, al Nord ovest di 19291 euro e al Sud di 14327 euro. È stato calcolato che in questo modo dal 2000 al 2017 sono stati sottratti al Sud 840 miliardidi euro (secondo altri calcoli, negli ultimi 20 anni lo “scippo” sarebbe stato di 1400 miliardi).
L’autonomia differenziata significa marcare appunto le… differenze, e questo è il suo maggior difetto, tant’è che qualcuno ha parlato di “suicidio dello Stato”.

Frattanto, le “fughe in avanti” del neo Ministro delle Regioni purtroppo continuano, anche se il bilancio dello Stato 2023 (L. 29.12.2022, n. 197, art. 1, commi 791 e ss.) ha subordinato l’autonomia differenziata alla determinazione dei LEP e dei fabbisogni standard, stabilendo però che a fissarli sia una “cabina di regia” formata dal Presidente del Consiglio, da taluni Ministri e dai Presidenti di ciascuna associazione che rappresenta le Regioni, le Province e i Comuni, con il supporto di alcune strutture tecniche. Se il procedimento – già di per sé abnorme perché LEP e fabbisogni standard saranno determinati dal Governo, escludendo ogni concreta influenza del Parlamento – non si concludesse entro 12 mesi, il Presidente del Consiglio e il Ministro delle Regioni, d’intesa col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nominerebbero un Commissario per “completare l’opera” (in pratica, per fare ciò che essi stessi e i loro colleghi non avrebbero compiuto o ultimato).  

Colpisce molto che l’attuale Presidente del Consiglio e il Vice Ministro degli Esteri di origine salernitana siano oggi favorevoli all’autonomia differenziata, mentre nel 2014 erano stati gli unici firmatari della proposta di legge (XVII Legislatura – Atto Camera n. 1953) che prevedeva, tra l’altro, l’abrogazione dell’art. 116 della Costituzione, e quindi di ogni autonomia locale. Questa “giravolta” è la “merce di scambio” per ottenere dal partito del Ministro delle Regioni l’appoggio per modificare gli assetti dello Stato in senso presidenzialista (ipotesi peraltro che, al di là di altre gravi criticità, non tiene conto dei guasti che ha prodotto in Italia, e continua a procurare altrove, “l’uomo solo al comando”).

Per ridurre le materie “delegabili” alle Regioni e riaffermare la prevalenza statale è stato avviato il procedimento di una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, che potrà essere trasmessa al Parlamento (obbligato poi a discuterla) se accompagnata da almeno 50000 firme, che si raccolgono ai tavoli degli attivisti, presso i Comuni, gli avvocati e i notai aderenti. Si può firmare anche con lo SPID, la firma digitale o mezzo analogo, collegandosi a www.coordinamentodemocraziacostituzionale.it o al sito internet di altri enti e organizzazioni sostenitori (sindacati, associazioni), oppure accedendo alla piattaforma https://raccoltafirme.cloud/app/user.html?codice=CDC.

La sciagurata frenesia dell’ampia autonomia differenziata (che è una secessione mascherata) va contrastata con decisione, soprattutto firmando la proposta di legge popolare, acquisendo complete informazioni sull’argomento (ma ricorrendo a fonti autorevoli e indipendenti), organizzando incontri per illustrare le vere, esiziali conseguenze dell’autonomia così marcata, manifestando pubblicamente e sollecitando tutte le forze politiche e i loro esponenti a difendere gli interessi locali e dell’intera Nazione, vigilando infine sulle decisioni in materia di LEP e fabbisogni standard

In questo modo dimostreremmo di voler respingere il dominio altrui e di non essere afflitti dalla sindrome che un intellettuale francese del 15° secolo, Ètienne de La Boétie, definì della “servitù volontaria”.    

14 gennaio 2023 – © riproduzione riservata

Facebooktwittermail