Lettera di un bambino bannato

[di Ernesto Giacomino]

È che il mondo non ha più sfumature, non c’è opinione che non cada totalmente nel bianco o nel nero, non ci sono più i “forse” e i “chissà”. Oggi si è pro o contro in tutto: nello sport, nel sociale, nella politica, nel sesso. Con la pericolosa conseguenza, in ciò, che ciascuno ormai invoca la libertà d’espressione, più che per dire la sua, per dissentire rumorosamente dagli altri.
Battipaglia come Roma, titolano di questi tempi i quotidiani locali. Come nella capitale, infatti, anche qua da noi, in occasione del 40° anniversario dell’entrata in vigore della Legge 194, un’associazione ha stampato e affisso in città un manifesto contro l’aborto, con tanto di presunta “ratifica” comunale data dal contrassegno del Servizio Affissioni.
Caos, quindi. Barricate da un lato e dall’altro: i contrari ai manifesti, che chiedono alla Sindaca di rimuoverli (sulla scia di quanto già fatto a Roma dalla Raggi); i favorevoli, che insistono sulla legittimità di far veicolare pubblicamente le proprie idee, condivise o meno.
La questione, sia per i contenuti in sé che per un richiamo generale al diritto d’opinione, resta sicuramente delicata. A partire dalla forma del messaggio che, a seconda della suscettibilità personale di ciascuno, può risultare forte come estremamente tenera (la foto di un feto sviluppato, con sotto un commento che comincia con “Tu a 11 settimane eri così…” e chiosa “e ora sei qui perché tua mamma non ha abortito”), ma che in ogni caso, sul versante puramente visivo, non pare offrire elementi oggettivi per contestarne potenzialità turbative nei confronti dei passanti.
Diversa, magari, potrebbe essere la valutazione “nel merito” di tale messaggio; ovvero una riflessione sull’effetto, in termini di percezione emotiva, che potebbe avere su determinate categorie più deboli (i minori, ad esempio, ma anche le famiglie che per un motivo o per un altro si sono trovate o si trovano a vivere quest’esperienza, che non comporta mai scelte facili). Anche perché la Onlus che si è fatta carico dell’iniziativa inquadra l’argomento in un più ampio discorso di tutela di valori della maternità e difesa della famiglia tradizionale, punti “caldi” che già di loro non hanno mancato di suscitare polemiche e contrapposizioni politiche negli ultimi capitoli legislativi. Cosa che porterebbe il dibattito, se alimentato troppo, a riallacciarsi a divisioni di principio ancora più lontane nel tempo.
Resta, comunque, la domanda: può un sindaco vietare l’affissione di un manifesto perché una parte della popolazione è contraria alle idee (comunque lecite) che contiene? Ma anche, ribaltandola: può un sindaco permettere l’affissione di un manifesto che, oltre a contenere idee contrarie a quelle di una parte della popolazione, contesta – seppure implicitamente – una legge dello Stato sovrano?
Il problema è decidere, in questo come in altri casi, se si possono far convivere due libertà, sì, opposte e contrastanti, ma perfettamente equivalenti sotto l’aspetto civico e giuridico. Poco possono farci le istituzioni, molto un graduale ritorno alla moderazione e alla tolleranza reciproca. Perché, come recitava un vecchio adagio, “stai calmo: se non hai ragione, non necessariamente devi aver torto”.

18 maggio 2018 – © riproduzione riservata
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