Manovra d’agosto
[di Ernesto Giacomino]
Giusto perché disdegno la ridondanza voglio parlare anch’io dei quattro cantieri simultanei aperti a Battipaglia proprio in concomitanza del picco di ferie estive. Ma io, diversamente dall’opinione pubblica, non lo faccio per attaccare la scelta. Lo faccio per difenderla.
Primo punto, allora: il sottopassaggio. Uno dice: e va be’, stava così da quarant’anni, vuoi vedere che non poteva aspettare qualche altro mese. E no. Anzi, pare strano come sia sfuggita la valenza strategico-sanitaria di una chiusura in pieno luglio della principale via d’ingresso in città arrivando dal mare. Com’era, il fatto? Balneabile, non balneabile, boh, aspettiamo che dice Branko a fine anno? Ecco qua: metti che sei ostinato, che sei andato comunque in spiaggia e ti sei beccato una malattia, le verruche, la gonorrea, io comunque ti chiudo la strada di ritorno e ti costringo al giro lungo. In quell’oretta che ci metterai a raggiungere casa – circumnavigando l’intera Battipaglia come Vespucci con Capo San Rocco – o i virus avranno svernato oppure avrai avuto modo di fare una capatina all’ospedale (con duplice opzione, nevvero: il nostro, arrivando dalla variante, o quello di Eboli allungandoti dalla zona industriale).
La rotonda di viale Barassi, anche. C’era assolutamente da sbrigarsi, il campionato era alle porte, sai che disagio con i pullman dei tifosi ospiti. Come dite? Non ce l’abbiamo più, una squadra di calcio che fa cotanto movimento? Appunto, ancora peggio. Immaginatevi tutti gli ultras avversari che regolarmente, andando in trasferta altrove, si soffermeranno là a sbeffeggiarci: vuoi mettere, dar loro la garanzia di una viabilità più ordinata e scorrevole?
Di via Brodolini, poi, che dire. La retrostazione della non-stazione. L’unica opera che davvero ha tempi strettissimi di realizzazione, salvo veder evaporare i soldini europei stanziati per la bisogna. Lì non la puoi davvero sfangare, la scadenza; specie considerando tutti i ritardi per problemi di cablaggio e sottocablaggio già avuti durante gli scavi. A che servirà, finirla il prima possibile? Esattamente a quello: a far sì che noi, passando di lì a cose fatte e sistemate, possiamo guardare cotanta infrastruttura alle spalle della stazione abbandonata e deserta e chiederci: oh, ma a che serviva, finirla il prima possibile?
Dell’ultimo cantiere, quello itinerante che ora s’è assestato tra via Olevano e via Gonzaga, perdonatemi, ma devo parlarne con una punta di commozione. Lo sento come un figlio adottivo, quello là. L’ho visto nascere e crescere, fin dai tempi di viale della Libertà. Scavo dopo scavo, spicconata dopo spicconata. L’ho amato come parte di me stesso quando ha fatto saltare un’intera condotta idrica in pieno agosto, lasciandoci senza doccia nel nostro benefico sudore. Quando, ancora prima, da solo è riuscito a precludere in un colpo solo l’accesso a tutte le scuole del rione. E lo amo oggi, in questa sua materna attenzione nel renderti pressoché impossibile andare a Olevano senza un deltaplano o un lancio col cannone.
Nessuno saprà mai a cosa stiano lavorando, quelle ruspe là, ma va bene così. Chi difende l’efficienza non sa che è una droga. Alla lunga, fidatevi, crea assuefazione.