Mia città
[di Luca Sinisgalli]
Mia città che ti ho conosciuto nell’età dell’innocenza. Che ti porto dentro, amata e odiata, da tanto, da troppo. Mia città, distesa sotto i miei piedi, giocata a pallone, camminata a lungo, di giorno e di sera, corsa per la fretta di prendere un treno, un treno che mi portava a scuola o che mi portava verso l’amore. Mia città, fredda di portoni dove rubare un bacio; calda di ombra cercata dove sognare di partire lontano. Mia città, d’estate balneata. Mia città saccheggiata dai Caisotti venuti dall’entroterra, mia città dunque palazzinata.
Mia città zigzagata, obliqua e modernamente malnata. Mia città, che prima non eri la mia città. Che nacqui in un posto di mare e vissi in un altro posto di mare. Mia città che mi ricordo però la tua storia di quando non eri ancora la mia città, anzi non eri ancora città. Dei baroni assassini e gaglioffi longobardi minori, normanni invasori, prima che Greci migranti, Etruschi e poi Romani. Mia città dall’etimo incerto: di un dotto tempio di Pallade sepolto nelle paludi o di più agresti battiture di paglia alle aie antiche. Mia città di mille tracce e di memoria nessuna.
Di quando eri un pugno di case e una via per la passeggiata della domenica. Mia città di quando eri tetto caldo per i miei antenati. Si riparavano le ali stanche di fatica e di pioggia. Mia città bombardata, saccheggiata, deturpata. Mia città ritornata da chi alla guerra era andato e scampato. Dalla perfida Albione, dall’India, dall’Africa al tuo grembo è tornato. Mia città, industrializzata, scioperata, manifestata, sparata nel ‘69 e d’aprile assassinata. Mia città di oggi ancora abusata, da molti partita e ritornata e poi fuggita lontano, per sempre che non eri in fondo la loro città.
Tratto da “Pensieri nati apposta”
15 gennaio 2022 – © riproduzione riservata