Più difficile diventare Italiani

“La concessione della cittadinanza italiana (…) è subordinata al possesso, da parte dell’interessato, di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, non inferiore al livello B1”. Così si legge nel testo del Decreto sicurezza, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 3 dicembre 2018, che introduce nuove norme in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza italiana. 
Viene quindi ripristinata la norma che prevedeva un test di ingresso per il riconoscimento della cittadinanza italiana; la legge precedente (introdotta nel 2010 e sospesa due anni dopo), era però più magnanima: era sufficiente il livello A1, mentre con il livello B1, per chi non conosce bene la nostra lingua, le cose si complicano. A tal fine, i richiedenti saranno tenuti, all’atto della presentazione dell’istanza, ad attestare o il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario riconosciuto dal Ministero dell’istruzione e dal Ministero degli affari esteri, oppure produrre apposita certificazione rilasciata da un ente certificatore riconosciuto dal Miur e dal Maeci. La nuova normativa, a decorrere dal 4 dicembre 2018, riguarderà tutti i richiedenti cittadinanza italiana, – per matrimonio (art. 5) e per concessione di legge (art. 9) – ad esclusione di coloro che hanno sottoscritto l’accordo di integrazione e i titolari di permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo, in quanto per questi casi la legge già prevede una valutazione di conoscenza della lingua italiana. 
Il decreto voluto dal ministro Salvini, oltre a portare l’importo per la presentazione della cittadinanza a 250 euro – precedentemente era di 200 euro – introduce l’istituto della revoca della cittadinanza italiana concessa ai cittadini stranieri che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale, avendo riportato condanne per gravi reati commessi con finalità di terrorismo o eversione. 
Altra novità è l’estensione da 24 a 48 mesi del termine entro cui concludere i procedimenti di riconoscimento della cittadinanza, sia per matrimonio che per naturalizzazione. Inoltre, in relazione all’istanza di acquisizione della cittadinanza per matrimonio, la nuova norma abroga la disposizione della Legge n. 91/1992 che precludeva il rigetto delle domande di cittadinanza iure matrimonii, che potranno quindi essere rigettate anche con il decorso del termine massimo di 4 anni. 
Insomma, una riforma della cittadinanza era sì auspicabile ma in termini migliorativi: il legislatore ha introdotto misure che possono apparire marginali ma che pregiudicano nei fatti, in termini burocratici e amministrativi, il diritto al riconoscimento della cittadinanza per quei tanti giovani esempio che amano, vivono e contribuiscono a far crescere questo Paese, che fa ancora fatica a riconoscere il loro percorso di appartenenza. Un Paese “vecchio” che dovrebbe affrontare questo tema in maniera inclusiva e innovativa, soprattutto quando il riferimento è alle cittadinanze ius sanguinis o a quelle per matrimonio, che nulla hanno a che vedere con il tema della sicurezza o della lotta al terrorismo (oggetto del Decreto Salvini). 
Cittadinanza equivale a inclusione e integrazione e non a mortificazione e penalizzazione, come Salvini & C. continuano a credere e sostenere. 

Eugenio Mastrovito

8 marzo 2019 – © Riproduzione riservata

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