Ponti di ghiaccio | della classe II C del Besta Gloriosi

Racconto vincitore del Premio Bimed (staffetta di scrittura creativa, sezione Junior) scritto da Francesca Iorio (team leader), Dalila De Rosa, Annachiara Gorga, Giulia Roscigno, Manuela Romano, Mariantonietta Somma, alunne dell’I.I.S. Besta Gloriosi di Battipaglia, classe II C indirizzo AFM, docente Antonella Ceriello

Arrivati in caserma un agente mi accompagna in una stanza dove trovo il comandante dietro una disordinata scrivania che mi invita a raccontare l’accaduto. Mi sento a mio agio con lui, tuttavia ripercorrere quei momenti mi fa tremare la voce, mi fa sudare le mani. Ma ero davvero io l’artefice di quelle azioni contro Luca?
Il comandante, ascoltando con attenzione, senza aggiungere nulla e per sollevarmi da quello stato d’animo inquieto, mi invita ad uscire dalla stanza, accompagnandomi all’uscio ed invita mia madre ad accomodarsi. Esco, incrocio lo sguardo contristato di mia madre che mi sfiora; appena si chiude la porta un mare di pensieri mi invade la testa. E adesso? Cosa mi succederà? Quali saranno le conseguenze?
La porta che si apre mi distoglie dai pensieri, mamma esce seguita dal comandante, le ha spiegato come avverrà la punizione. Sì, punizione, ho inteso bene, rimango stupefatto.
Io avevo prefigurato i miei giorni futuri lontano dalla famiglia, magari in un centro di recupero giovanile. Invece mi spiega il comandante, tenendomi una mano sulla spalla che per me aveva un peso enorme rispetto al suo peso reale, che essendo un unico episodio quello accaduto, non era previsto nessun provvedimento di carattere legale. A sentire queste parole, la sua mano sulla spalla diventa leggera come una piuma. Quell’uomo dall’atteggiamento paterno, mi invita a non ripetere quella bravata perché se ci sarà reiterazione dovrò affrontare serie conseguenze. Non ho inteso il termine di cui stava parlando ma ho capito che se avessi ripetuto lo stesso atto non l’avrei passata liscia.
Usciti dalla caserma ci avviamo verso l’auto per rientrare a casa. Dopo qualche minuto di assordante silenzio per me, mamma lo rompe dicendomi che la Scuola comunque avrebbe preso provvedimenti disciplinari. Guardo distrattamente fuori dal finestrino, alberi, palazzi, vetrine, manifesti della pubblicità sbiaditi. Entriamo in casa ed io vado dritto verso il mio rifugio. Mia madre che parla del pranzo ed io neanche le rispondo. Nella mia stanza ordinata che odora ancora di mobili nuovi, prendo le cuffie e mi getto sul letto, parte la mia playlist. Mi addormento.
La mattina seguente suona la sveglia, dalla finestra penetrano i raggi del sole, sembra che sia tornato il sereno, proprio come dentro di me. Ma il cielo non è ancora tutto sgombro di nubi. Faccio colazione, mi preparo per tornare a scuola. Nel cortile da lontano vedo il Boss circondato dai suoi amici, lui con lo sguardo accigliato e l’aria tronfia di chi sa il fatto suo. Ho timore, torno indietro o li affronto? Tiro dritto ed entro in classe. Sento la voce del prof. ma non ascolto, sto pensando a come dovrei dire al Boss che non sarò più dei loro.
Durante la ricreazione la vicepreside che chiede gentilmente di seguirla, sotto gli occhi attoniti di tutti mi alzo e la seguo, giungiamo in presidenza dalla quale escono la preside seguita da mia madre che è già a conoscenza del provvedimento disciplinare: la sospensione per una settimana. Apprendo poi che al pomeriggio dovrò prestare servizio alla “Banca del tempo sociale”. Rimango interdetto ma la preside informa sull’iniziativa della nostra scuola: dedicare del tempo libero ai ragazzi meno fortunati, nel mio caso a compagni autistici. La cosa mi ha colto di sorpresa, mi sento quasi emozionato, investito da un senso di responsabilità.
Il mio stato d’animo è un misto di emozioni contrastanti. Il pensiero di affrontare il Boss passa quasi in secondo piano. Ma più prefiguro il momento e più il mio timore si materializza. Suona la campanella, metto i libri nello zaino disordinatamente, vado verso il luogo dell’incontro. Lo vedo, si avvicina con aria minacciosa. Abbiamo un breve scambio di saluti con tutti i suoi amici. Quindi inizio, gli dico che non mi va di far parte del gruppo, non voglio rogne con la scuola e con i miei genitori. Mentre finisco di pronunciare queste parole penso che non devo nascondermi dietro un dito.
«Ascolta, io non mi sento come te, non ho bisogno di sentirmi più forte con chi penso sia più debole. Ma poi sei sicuro di essere il più forte? Se lo sei, che bisogno c’è di prendersela con qualcuno? Lo sei è basta, no?»
Mentre parlo si avvicina sempre più a me, arriva a sfiorare il mio naso.
«Ti senti meglio quando deridi, picchi, perseguiti qualcuno?» Io no, mi sento un perdente!
Interviene un suo amico che non credo di conoscere e mi intima di andarmene. Il Boss lo zittisce e mi dice di continuare con aria sprezzante. Ed io: «Anche io ho rabbia dentro, anche a me non piace come gira il mondo, spesso sono solo, vorrei che i miei vecchi non litigassero al telefono o attraverso gli avvocati. Tu che ne sai di me? Ma io so qualcosa di te: so che hai rabbia come me, forse per motivi diversi ma sento la tua rabbia. Credi di cambiare qualcosa scaricando la tua “forza” su qualcun altro, che magari è fragile e forse arrabbiato come te, ma che non va in giro a seminare violenza». Avevo terminato tutto d’un fiato. Ci guardiamo qualche istante negli occhi, mi volto e vado via. Mi sento leggero, libero dal Boss e anche da me stesso. Penso a ciò che dovrò fare domani: incontrare un ragazzo che si è chiuso nel suo mondo, forse diventeremo amici, forse anche lui si sente solo come me, forse non ci sentiremo più soli insieme.
Mentre questo pensiero mi carezza penso a mio padre che vuole parlarmi. Non ricordo neanche più l’ultima volta che mi abbia parlato. Vorrei parlare col nonno, l’unico con cui riesca a parlare. Mi incammino verso casa dei nonni, ripenso a ciò che ho detto al Boss, a lui che non ha neanche fiatato. Proprio il nonno da bambino mi raccontava di una fiaba di draghi dietro i quali si nascondevano tesori. La vita, che spesso non mi piace, è riuscita a trasformare un brutto episodio in qualcosa di positivo: dedicare tempo agli altri meno fortunati di me. Arrivo a casa del nonno, suono al citofono, mi risponde con la sua inconfondibile voce, salgo di fretta le scale, non vedo l’ora di raccontargli questa intensa giornata.

18 giugno 2022 – © riproduzione riservata

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