Precarietà e stabilità

[di Daiberto Petrone]

Occorre sfatare un mito, eliminare dal lessico il consueto concetto che il nostro è un Paese instabile che non assicura alcuna continuità e che pertanto è perennemente in crisi. Niente di più approssimativo, sol che si esamini tale assunto da un punto di vista immediatamente percepibile.

Se da una parte sono instabili i governi – ne è appena cambiato uno – sono instabili i posti di lavoro, è instabile la condizione della gente comune, quella dei giovani in cerca di occupazione, non è certo instabile la condizione di chi è “entrato” o “disceso” in politica decenni orsono, o anche di recente, e da allora non ha avuto più alcun problema di instabilità o provvisorietà. Il pensiero corre al folto stuolo dei troppi cittadini italiani che, per investitura, merito di appartenenza, ossequio agli apparati di partito, per avventura, per cause incomprensibili o inconfessabili ai più, abbiano rivestito, anche per una sola volta, una carica od un incarico politico a qualsiasi livello. Ebbene a partire da quel momento essi hanno risolto ogni e qualsiasi problema, per sé, per la propria famiglia, spesso allargata, per le comari, per i comparielli, per i sodali, per…

Contrariamente a quanto sembra avvenire altrove, da noi chiunque abbia rivestito una carica, un incarico di natura pubblica rimane nel “pubblico” vita natural durante. Ai trombati alle elezioni è assicurata una presidenza, un posto in consiglio di amministrazione, un contratto di consulenza, la dirigenza di un ente statale, regionale, provinciale, comunale e, chi più ne ha più ne metta. L’eletto o il quasi eletto non esce più dal circolo virtuoso o “cerchio magico” degli incarichi e delle prebende e può tranquillamente continuare a vivere col danaro dei contribuenti per sempre, anche dopo la morte, perpetuandosi tale privilegio nella eletta o quasi eletta prole.

Quindi altro che precarietà e provvisorietà, il nostro è il Paese della assoluta stabilità, dove il provvisorio è permanente per i privilegiati che vivono alle spalle degli altri, che guazzano negli sprechi, nelle pacchianerie, nel malaffare e si assicurano compensi stratosferici e trattamenti pensionistici inimmaginabili.

E purtroppo è stabile e permanente anche la condizione di chi vive il disagio sociale più assoluto, la disperazione, l’ingiustizia, l’irreversibile condizione del “cittadino comune”. E tale situazione non pare possa avere sbocchi almeno a medio tempo, se è vero che l’annuale World Economic Forum, ove si incontrano politici e leader delle istituzioni economiche più influenti, dà in aumento la disoccupazione e sempre maggiore il divario tra ricchi e poveri: l’uno per cento delle famiglie del mondo possiede il 46 per cento della ricchezza globale. Tra le cause il Forum ha individuato la corruzione e l’evasione fiscale, spesso legalizzate o favorite dai governi, cui la nostra classe politica di eletti o quasi eletti non è estranea.

27 febbraio 2014 – © riproduzione riservata

Facebooktwittermail