Prove tecniche di transizione

[di Ernesto Giacomino]

Confesso che le alleanze me le persi subito dopo il primo turno elettorale, e non fui molto attento a come effettivamante si distribuirono, tra l’uno e l’altro candidato, le preferenze degli esclusi dal ballottaggio. Non quelle dei candidati a sindaco e consigliere, ovviamente: parlo della rispettiva claque, la follastra onnipresente e compiacente, i reggipalco a cottimo che per mesi si sono azzannati per strade vere o virtuali (leggasi social, forum e gruppi whatsapp con nomi sagaci tipo “il cambiamento del rinnovamento nel proseguimento”).
Quelli là, dico, finalmente rilassati ed esclusi dalla bagarre del tutti contro tutti, alla fine chi sono andati a incensare? Me ne ricordo facce, discorsi, dita puntate, incroci in strada col “santino” elettorale alla mano: “Tizio ti aiuterà e Caio se ne sbatterà”, “Un bianco che più bianco non si può”, “Chi non salta nichilista è-è”. Dove sono collocate le loro simpatie, adesso? Sono gli stessi che prima giocano in bici o a beach volley con la sindaca e poi, alle spalle, soffiano sul fuoco della vecchia querelle di Alba e Nuova, dei sospetti di clientelismo, degli scismi mistici tra moderati e conservatori? Sono mutanti alla dottor Jekyll, una faccia di giorno e l’altra di notte, capaci di sobillare a scelta maggioranza e opposizione a seconda del meteo e delle fasi lunari?
C’è un problema con Alba, ma non c’è un problema con Alba. La colpa è del management, ma mettiamo il gps ai dipendenti, che colpa vuoi che ne abbia il management. La città è mediamente sporca, anzi no, prima era peggio. È pulitissima, ma non puliscono. Quell’alleato “mette zelle”, ma meno male che non le mette, siamo tutti coesi. Polemiche che non si smorzano, ma fortuna che qua non c’è nessuna polemica. Alla fine, pare che il grosso del tempo riservato alle pubbliche relazioni la sindaca debba dedicarlo a mostrare armonia e concordia in stile Cunningham’s family di Happy Days. Un po’ – diciamocela tutta – come quei genitori in disaccordo costretti, giocoforza, a sbaciucchiarsi davanti ai figli.
“Se non vuoi nemici non farti amici”, diceva qualcuno. È la politica del nuovo millennio, quella patchwork, che si gioca sul filo dell’implosione. Una guerra di nervi sotto l’abito da cerimonia della serenità. Il dissenso sbandierato come arma di democrazia: ci sono, non è che ci faccio, apprezzate la sincerità. Resto coerente, e se mi va remo contro. Nell’interesse dei cittadini, ah sì. Chè parecchi santi, per essere avviati alla beatificazione, hanno fatto molto meno.
Il che, non si capisce ancora se è un fatto buono e fisiologico, derivante dall’aver composto un’equipe di governo cittadino, una volta tanto, eterogenea e di principio; o piuttosto solo un mettere coperchi sull’acqua in cottura per contenerne gli sversi da ebollizione.
Fortuna che per un po’ saremo ancora in modalità pettegolezzo, e allora poco importano dissidi e sparate ai giornali. A momenti, però, ci sarà da fare sul serio: il bilancio, il dissesto, il Più Europa, il decoro, la viabilità, il sociale. E sarebbe bene, fin d’ora, scegliere di che panni volersi vestire. Perché, è storia, il grosso di chi applaude al re poi capita che te lo ritrovi a sparare nei boschi.

28 ottobre 2016 – © Riproduzione riservata
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