Provenza al vetriolo: «Cecilia? Un sindaco debole»
È un ricordo sbiadito la foto di gruppo del 14 febbraio del 2016: nel giorno di San Valentino, nel bel mezzo della campagna elettorale, i vertici provinciali di Forza Italia suggellarono l’amore politico tra Cecilia Francese e Giuseppe Provenza. Un reperto finito in archivio, tra le note, i documenti, i patti e quell’atto di revoca firmato il 9 novembre: Provenza non è più l’assessore ai lavori pubblici. Il coordinatore azzurro, che ha condiviso il documento dei pattisti, è stato defenestrato dalla giunta. «Sono sereno», dice, ma dietro il sorriso c’è tanta amarezza.
Come sta Provenza?
«Sereno e con la coscienza a posto. Dal giorno della revoca, ho ricominciato a vivere. Mi dedico ai miei familiari, alle relazioni interpersonali, al mio lavoro: andare in municipio era motivo di stress, perché non c’era un clima disteso. I miei figli camminano a testa alta, perché il papà non ha barattato la propria dignità con una poltrona, e anche i miei elettori possono essere orgogliosi della fiducia che m’hanno dato. Ed è da ciò che nasce il mio rammarico politico: ora che sono fuori, non posso dar seguito agli impegni assunti con chi m’ha votato».
Cosa ricorda del 9 novembre?
«A via del Centenario, durante la consegna dei lavori d’adeguamento dell’attraversamento sul Tusciano, incrocio la sindaca e la saluto: lei non fa alcun cenno alle sue intenzioni. Qualche minuto dopo, dalla diretta Facebook d’una conferenza stampa convocata d’urgenza, apprendo della revoca, e che la sindaca, seppur indirettamente, mi avrebbe “punito” per non aver sconfessato un documento firmato dai “pattisti”, dimenticando che quel documento io non l’ho sottoscritto, non l’ho preparato e che, 8 giorni dopo, lei stessa lo avrebbe ritenuto condivisibile nei contenuti».
La sindaca dice di accettare il secondo documento e non il primo…
«Si rasenta il ridicolo: il secondo documento è figlio del primo. Mi sembra il Teatro dell’assurdo».
Eppure a San Valentino del 2016 s’era ufficializzata una sinergia che pareva inossidabile…
«S’immaginava di poter cambiare la città, ma Cecilia è cambiata: non è più quella persona. Non lo è da quando sono venuti meno i presupposti: non c’è più un coordinatore, non c’è il capostaff, non c’è dialogo con le forze politiche. Ha litigato con Fernando Zara prima e con Brunello Di Cunzolo e Adriana Esposito poi, e da lì è stata una guerra continua con me: il suo cerchio magico s’è chiuso a riccio, avallato dal buon Gerardo Rosania e dalla segretaria generale Brunella Asfaldo…».
La frattura con Di Cunzolo è stata tanto traumatica?
«Cecilia ha rotto con la politica. Prima delle elezioni m’aveva chiesto di fare la lista e di candidarmi in prima persona. Mi dice che sarei stato il suo vicesindaco, ma dopo il patto nobile si rimangia la promessa: non è un problema. Vengo eletto consigliere, ed è lei a volermi in giunta, e m’assicura che non m’avrebbe revocato. Stipuliamo perfino un patto, attraverso il quale, riconoscendo nel ritiro delle deleghe un modo d’operare della vecchia politica, s’impegna a non revocarmi mai. Quando Cecilia litiga con Brunello, si manifesta la rottura tra la politica e il direttorio: prima d’allora la sindaca aveva accanto Brunello, Fernando, Adriana e me».
Un esempio?
«Ce ne sono tanti, ma mi vengono in mente i parcometri. La politica voleva i parcometri, il direttorio i gratta e sosta. Un duro scontro, e fu Di Cunzolo a intervenire e a ribadire l’aspetto prioritario delle indicazioni della politica. Qualche giorno dopo, Cecilia litiga con Brunello e Adriana, e per forza di cose s’affida al suo compagno (Gerardo Rosania, ndr), una persona squisita ed equilibrata, e alla segretaria comunale».
Provenza rischiò la revoca pure a giugno e parecchi consiglieri hanno chiesto la sua testa: questo direttorio non lo riconoscono tutti?
«Firmai il documento di giugno da coordinatore di FI, riconoscendo che la giunta aveva una sua vita autonoma. “Non lo dovevi firmare, ci hai messi in imbarazzo”, mi disse Cecilia, e chiarimmo a cena, davanti a un bicchiere di vino. Poi andai a Milano, e i miei sbagliarono, perché non andarono a votare il rendiconto: da lì è nato un legittimo risentimento da parte delle altre anime della maggioranza, lasciate da sole a votare una delibera impegnativa, ed io, riconoscendo in quelle assenze un errore, sottoscrissi con la sindaca il famoso documento di sintesi».
E la Francese le chiese di lasciare l’incarico di coordinatore…
«Non sono problemi di Cecilia, non è un campo che la riguarda: Renzi è stato premier e segretario del Pd».
S’è definito spesso “scomodo”: perché?
«Quando solleciti, diventi antipatico. Dopo Di Cunzolo, ho cominciato io a segnalare in giunta e alla sindaca il malcontento dei consiglieri e della comunità per un’azione amministrativa che procedeva a rilento, ma quando le fai notare che qualcosa non va, Cecilia ti risponde malissimo. E a margine d’una riunione di giunta, ebbi uno scontro con la Asfaldo, che m’accusò d’averla diffidata sul depuratore: io avevo semplicemente chiesto i tempi di stipula d’un contratto…».
Disegna un quadro impietoso: perché non s’è dimesso?
«Avrei voluto farlo, ma c’erano due elementi ostativi: da un lato avevo assunto un impegno coi miei elettori, dall’altro dovevo rispondere anche al mio partito…».
Lei fa parte dei pattisti?
«Mi confronto con loro perché portano avanti le istanze dei battipagliesi che non hanno ricevuto risposta, e se parlano d’un’amministrazione tardiva, lo condivido».
Come andrà a finire? Resteranno in maggioranza?
«Dipende da Cecilia, che è imprevedibile. Dovrebbe riconoscere che qualcosa non va e attribuire delle responsabilità, azzerare la giunta: un anno e mezzo fa lo avrebbe fatto, ma oggi non credo che lo farebbe. E a quel punto i ragazzi dovrebbero agire di conseguenza».
L’amministrazione Francese arriverà al 2021?
«Me lo auguro. M’auguravo pure che la Nazionale, che non giocava come piace a me, andasse ai mondiali, ma la responsabilità era di Ventura. Si può fare un parallelo tra Ventura e il duo Rosania-Francese».
Un pregio e un difetto della prima cittadina?
«È una brava dottoressa, ma un sindaco troppo debole».
Cosa c’è nel futuro di Provenza?
«Per ora sto riassaporando attimi di vita che erano scomparsi. M’è balenata nella mente l’idea di lasciare tutto, ma non so come andrà a finire: la politica è una malattia (sorride)».