Quando il cibo è nella testa
[di Anna Cappuccio, pisicologo clinico, psicoterapeuta]
Un impulso irrefrenabile mi invade lasciandomi spoglio di volontà. Arriva all’improvviso, imprevedibile di giorno o di notte, ancora più intenso, con le sembianze di un estraneo dentro di me che mi spinge a cercare freneticamente nella dispensa o nel frigorifero e mi lascia alla fine spossato come un amante viscido e abusante. È questo il volto della bulimia, uno dei disturbi dell’alimentazione, caratterizzata da un’incapacità di astenersi dal mangiare e dall’impossibilità di fermarsi una volta iniziato. Il cibo non viene assaporato e gustato, ma viene ingoiato e divorato velocemente. Queste abbuffate impulsive sono vissute con vergogna e profondo senso di colpa, per questo vengono vissute in solitudine e spesso durante la notte quando si è più sicuri da sguardi che sono sentiti invadenti e giudicanti. A questo seguono i tentativi per evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto, l’abuso di lassativi e l’iperattività. Proprio per questo non sempre la bulimia si lega a situazioni di obesità, in quanto l’aumento o meno del peso dipende dalla sistematicità con cui vengono messi in atto le condotte di eliminazione.
La bulimia, tuttavia, non è solo un problema di cibo e di appetito, ma è la manifestazione visibile di una difficoltà psicologica. Nella storia della persona bulimica emerge spesso un bambino modello, responsabile, iper adattato alle esigenze o alle difficoltà della famiglia. È un bambino a cui è stato chiesto, più o meno esplicitamente, di incarnare ideali di perfezione e di riscattare insoddisfazioni genitoriali, non tenendo conto dei suoi bisogni evolutivi di accudimento e di supporto, bisogni che, quindi, sono rimasti inascoltati e non accolti. Questo ha finito con il creare un tendenza eccessiva al perfezionismo, con una consequenziale formazione di una bassa autostima e una scarsa fiducia in se stesso. L’iper responsabilizzazione, la convinzione di dover essere sempre controllato e perfetto per essere accettato e voluto bene possono provocare, nel tempo, un blocco emozionale e un’incrinatura nella fiducia di base, per cui le persone possono essere amorevoli e benevole nella misura in cui si riuscirà ad essere perfetti. La persona bulimica oscilla tra la ricerca di una perfezione irraggiungibile e la vergogna per non riuscire ad essere perfetta, tra un controllo esasperante del peso e la perdita totale del controllo attraverso le abbuffate, in una esasperante dicotomia tra rabbia e depressione. Il corpo, quindi, finisce con il diventare traghettatore di emozioni non accettate come l’insicurezza e l’imperfezione e l’abbuffata diventa il grido rabbioso di quel bambino condannato al silenzio che reclama il suo diritto ad essere amato per quello che è. Ma se questo grido comincia ad essere ascoltato, allora questa relazione disfunzionale con il cibo potrà essere interrotta per aprirsi ad una nuova relazione con la vita, una relazione carica finalmente di voce propria.
30 gennaio 2021 – Riproduzione riservata