Quando l’amore non sta ai patti
[di Anna Cappuccio, psicologa]
Cosa spinge a rompere le promesse di un amore fedele ed esclusivo? Perché si comincia a cercare fuori quel trasporto passionale che si era costruito all’interno della coppia? Molteplici sono le risposte perché molteplici sono i volti e le motivazioni del tradimento. Questo, spesso, si insinua all’interno di una insoddisfazione di coppia o a una incapacità di comunicare al partner cosa si desidera, anche sessualmente. Emerge, quindi, come conseguenza di una situazione caratterizzata da un calo della passione, dalla noia, dalla sensazione di vivere una routine piatta e monotona. In questi casi se c’è un buon dialogo e il desiderio di rinsaldare il legame, la coppia, davanti al tradimento, può ritrovarsi e rinnovare la motivazione iniziale a costruire un progetto condiviso. A volte l’infedeltà è seriale, ripetuta, un modus vivendi della persona. In questi casi parte da un’immaturità del partner che non riesce a integrare all’interno del rapporto sessualità e affettività, aspetti che rimangono quindi scissi e distanziati, oppure è legata alla ricerca ossessiva di una gratificazione narcisistica, un modo per avere conferma del proprio valore e del proprio fascino. C’è poi chi utilizza il tradimento come un antidepressivo, una strategia per colmare vuoti interiori e insoddisfazioni personali.
Al di là delle motivazioni, il tradimento lascia sempre un segno profondo in chi lo subisce e suscita sempre la stessa domanda: perché lo hai fatto? Chiedere e cercare una spiegazione è la ricerca disperata, attraverso una risposta logica e razionale, di un antidolorifico che possa lenire il dolore, un modo per costruire un nuovo bilanciamento emotivo che possa aiutare a superare il lutto. Infatti un amore che non sta ai patti produce un’angoscia abbandonica, un dolore viscerale capace di aprire ferite antiche, ferite che nella fusione con l’altro si credeva di aver chiuso. In questo dolore in cui la perdita dell’immagine idealizzata della persona amata ci scaraventa, ci ritroviamo feriti nella fiducia accordata al partner, devastati, svalutati, nudi di difese e di autostima. Arranchiamo per non consegnarci alla morte dell’anima, in una lotta per ricostruirci di nuovo come persone e ritirare quell’investimento emotivo fatto di amore e dipendenza su un altro ormai estraneo, lontano e alle prese con un nuovo amore. L’intensità della disperazione è tanto maggiore quanto più grande è stato il nostro tentativo di consegnarci all’altro, delegando all’amore la cura delle nostre ferite. Esiste un modo per salvarsi dall’inferno della disperazione? Ci salviamo se in questo dolore cominciamo a costruire la nostra crescita, abbandoniamo, cioè, l’idea che ci sia qualcuno che possa proteggerci incondizionatamente dai dolori della vita e accettiamo la sfida della separazione. Separarsi da situazioni che non ci fanno stare bene ci apre la possibilità di una vita rinnovata e sicuramente più gratificante, ci permette di costruire un benessere non più dipendente dall’altro, ma che risiede nelle nostre mani, un benessere che non viene meno ai patti.
Anna Cappuccio, pisicologo clinico, psicoterapeuta
Nella foto: una scena del film L’ultimo bacio
31 luglio 2021 – © riproduzione riservata