Questi fantasmi
[di Ernesto Giacomino]
Ma poi, la faccenda dell’appalto per la gestione dei parcheggi a strisce blu, com’è andata a finire? Boh. S’era detto che per un periodo minuscolo il servizio lo avrebbe gestito direttamente il Comune tramite la polizia locale, in attesa di riassegnarlo a qualcuno più fidato dell’ultima coop “prendi e scappa” che aveva avuto il cu…ore di occuparsene. Come dire: ‘mmazza e che bingo, no? Mi curo dei parcheggi per un tot d’anni, incasso le tariffe (prima a mano, poi ravanando i parcometri), non le giro al Comune ma me le metto in saccoccia, smantello la bottega, sbatto in strada i dipendenti e… niente, amici come prima (ovvie citazioni e decreti ingiuntivi a parte). Totale: uno molto più ricco di qua, l’altra (l’Amministrazione pubblica) ancora più povera di là.
Poi, ok, la palla ripassa nel campo della gestione comunale, con tanta buona volontà e dispiego di agenti che nemmeno alle commemorazioni del 4 novembre. Arrivando a un punto di tale efficienza, per dire, che già se ti azzardavi solo a guardarle da lontano, quelle strisce blu, ecco che t’arrivava il vigile a chiederti dove avevi esposto il talloncino. Anche se stavi a piedi.
Poi, col tempo, l’evaporazione. Ovvia, naturale, fisiologica. Perché è chiaro che la polizia locale o s’occupa dell’ordine cittadino o va in giro a scrutare i parabrezza delle auto in sosta. Ipotizzare un controllo costante del pagamento dei parcheggi equivale a tenere in strada decine di agenti deputati solo a quello. Incassi garantiti, come no. Da un lato, ovviamente. Dall’altro, un caos anarchico da scenario post-atomico: traffico in tilt, auto in tripla fila, immondizia appesa agli alberi, villette a schiera sui marciapiedi, ambulanti irregolari organizzati in discount e centri commerciali. Perché poi va detto: noi, gli umani tutti, a lasciarci liberi siamo peggio d’una scolaresca in gita. Da secoli diamo per consentito tutto quello che non è esplicitamente vietato.
Il risultato di questo graduale ammorbidimento dei controlli è che, alla lunga, gli attuali parcometri hanno finito per costituire la versione robotizzata del parcheggiatore abusivo. Non le si paga la sosta, a quella macchinetta là: le si offre un caffè. Un obolo, una liberalità. Si va là, si controlla un po’ l’orario, si calcolano quante probabilità si hanno di sfangare un controllo “random” di qualche pattuglia, e si decide. ‘Na cosa a piacere, nella migliore delle ipotesi: cinquanta centesimi, poi si vede. Nella peggiore ci si parla, le si spiega con cortesia: non ho spiccioli, passa un’altra volta, non insistere che ti denuncio. E guai a te se trovo un graffio sull’auto.
Che poi – ammesso che ci transiti ancora qualche moneta, lì dentro – andrebbe capito chi li svuota, i parcometri, adesso. Personalmente, non l’ho mai visto fare a nessuno. A che ora ci andranno? Di notte? La domenica pomeriggio, a strade deserte, quando l’intera popolazione è divisa tra divani e centri scommesse? Oppure c’è un fatto sotterraneo, roba tipo posta pneumatica, col bussolotto che schizza lungo la rete fognaria fino alle casse del comune?
Spero abbiano cambiato almeno le serrature, va’. Hai visto mai che, in cotanta distrazione, le chiavi siano ancora in mano a chi con quelle macchinette ci ha apparecchiato per anni belle tavolate a spese del Comune. Come dire: oltre il danno non la beffa, ma un intero bluff.
Poi, come ciò sia potuto accadere, è tutta un’altra storia. Oppure no: è la solita, vecchia storia.
13 febbraio 2014 – © riproduzione riservata