Riflessioni di un padre: Il judo nel rapporto genitori-figli | di Massimo Guarino

Mi sono avvicinato al judo che avevo poco più di sei anni, a propormelo fu mia madre, poiché preoccupata dal mio carattere, a suo dire, troppo timido. Ricordo ancora il mio primo giorno nel Dojo, non avevo mai sentito parlare di questo sport, una volta entrato ad attendermi c’era il Maestro Naponiello che, con fare serioso, m’invitò a salire sul tatami spiegandomi le regole del saluto per poi mandarmi, questa volta, con un grande sorriso a giocare con gli altri bambini. Rimasi subito colpito dal Maestro, una figura che mi donava fiducia, ma che al tempo stesso mi incuteva timore, curiosità. Da quel momento sono stato letteralmente rapito, affascinato dal judo e non nascondo che questa nobile disciplina giapponese ha contribuito moltissimo alla formazione del mio carattere insegnandomi, soprattutto, il profondo rispetto verso gli altri.

Ciò premesso per significare che, dopo la mia personale esperienza judoistica, durata per due lustri ho avuto la fortuna di incontrare nuovamente sulla mia strada il judo e questa volta da padre, una esperienza totalmente diversa e ricca di continui e profondi insegnamenti. Condividere con i propri figli tutte le esperienze che la vita quotidiana ci offre, sarebbe cosa davvero interessante e bella, ma obiettivamente diventa difficile da attuare, per ì più non per negligenza, ma per vari fattori contingenti. Ciò, non deve essere però una giustificazione per svincolarsi dalle responsabilità genitoriali, diventa indispensabile, infatti, indirizzare ogni possibile energia affinché si possano trovare con i nostri figli attimi di fondamentale condivisione ai quali non è necessario dedicare tantissimo tempo, ma semplici momenti qualitativamente validi. Nel JUDO questi momenti di relazione genitori/figli si intensificano ancor di più, proprio per i valori che questa nobile disciplina insegna.

Il Dojo è il luogo della conoscenza corporea, dell’educazione morale degli allievi, il luogo dove i bambini imparano a stare insieme, giocando si, ma sempre nel rispetto delle regole. Riconducendo il tutto alla mia esperienza di padre maturata all’interno del dojo, mi piace sottolineare che essa mi ha consentito di effettuare alcuni spunti di riflessione riguardo al loro percorso formativo ed educativo.

Non potete immaginare quanto sia calzante l’insegnamento di Kano Jigoro shihan (fondatore del Judo) con l’educazione morale, corporea che ogni genitore desidererebbe per i propri figli. Il contatto fisico che avviene con loro sul tatami, dà una sensazione di forza interiore eccezionale è un continuo scambio di informazioni che trasmettono un senso di fiducia, di coraggio, di gioia di vivere ai nostri bambini. Il giocare con essi nel dojo, ti dona il privilegio di una complicità che, a tatto, avverti subito diversa da quella del gioco che normalmente si effettua tra le proprie mura domestiche. Un gioco, però, che come accennato in precedenza ha regole ben precise e che devono essere osservate, un codice di comportamento fisico e morale, proprio come deve essere il rapporto genitori-figli, nella fattispecie padre-figli, con un padre aperto alla complicità, alla condivisione delle esperienze ed attento ad ascoltare il linguaggio sia verbale, sia corporeo dei propri figli. Quest’ultimo indispensabile per capire eventuali stati di disagio degli stessi, ma il tutto deve avvenire nella consapevolezza del fondamentale rispetto delle regole, del rispetto reciproco del tipico rapporto padre-figlio, che non deve assolutamente essere inteso, per forza, come un rapporto padre/amico – figlio. Il connubio tra regole ed insegnamento di questa disciplina, indispensabile nella formazione di ogni judoka, diventa una miscela di sensazioni davvero esplosiva.

Nel Dojo la pratica del waza, del randori e del kata, diventano momenti di sincera spontaneità, di creatività e di grande complicità che attraverso la mia esperienza mi fanno con certezza affermare che hanno migliorato i rapporti di comunicazione con i miei figlioli e mi hanno consentito di entrare con fiducia nel loro percorso educativo.

Tanto, nella leale consapevolezza che il judo non è il solo rimedio alla risoluzione dei disagi e del miglioramento relazionale tra genitori e figli, ma attraverso i suoi insegnamenti morali e fisici, in aggiunta ad una sincera comunicazione che non deve mai mancare può essere, senz’altro, uno dei tanti mezzi per consentire il miglioramento dei rapporti relazionali in generale e nel caso di specie, quello tra padre e figli.

Ai genitori che desiderano condividere lo sport con i propri figli, consiglio di vivere la mia stessa esperienza e di valutare tra le tante discipline anche il judo, con l’invito a recarsi nel dojo più vicino a casa, al fine esclusivo di rendersi conto di cosa è questa meravigliosa arte giapponese.
Per capire bene la sua anima è bene scalfire nel proprio cuore i due aforismi del Maestro Kano Jigoro che sono alla base della filosofia del Judo: lo JI-TA-KYO-EI (insieme per progredire) e SEI-RYOKU-ZEN’YO (il miglior impiego dell’energia). Da ultimo, mi piace concludere questo mio punto di riflessione nel dire che, nel judo non tutti diventano campioni nella pratica sportiva, ma che attraverso l’osservanza dei suoi insegnamenti tutti possono, se lo desiderano, diventare CAMPIONI NELLA VITA.

11 ottobre 2011 – © riproduzione riservata

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