Ritocchi di classe

[di Ernesto Giacomino]

E quindi questo lunedì – anche a Battipaglia, come in tutta la Campania – c’era da completare il rientro in presenza delle scuole medie, che nelle intenzioni pareva proprio una chicca d’organizzazione tombale tra istituti e genitori che manco al lancio delle missioni lunari.
Tutta una serie di misure di contenimento, voglio dire, da fare concorrenza ai tempi delle docce decontaminanti all’uscita delle centrali nucleari: banchi singoli e distanziati, l’obbligo d’indossare solo mascherine omologate CE, finestre rigorosamente spalancate durante le lezioni, divieto assoluto di lasciare appesi in classe giubbini e giubbotti (da tenere in sacchetti di plastica forniti dalle scuole). 
Che poi hai detto niente, passarsi preventivamente queste informazioni tra i genitori sui gruppi WhatsApp: per giorni e giorni, conversazioni così lunghe, abbondanti e particolareggiate che per non intasare la rete mondiale s’è dovuto mandare in orbita un satellite a parte. Nessuno spreco, peraltro, che è risaputo che quando non servirà più verrà comunque utilizzato per localizzare col 5G i microchip iniettati col vaccino, ché Bill Gates lo vuole assolutamente sapere, dove e quando andate a fare la spesa il sabato pomeriggio (c’è la moglie che smania per le offerte al banco surgelati, e sulla tessera punti le manca tanto così per avere la zuppiera regalo).
Preparativi infiniti e dettagliati, insomma; e c’è chi, al solito, per eccesso di zelo, è andato pure oltre. Gente che per scrupolo ha lavato gli zaini nell’amuchina, per dire, con tutti i libri dentro: tanto che ora su certi atlanti di geografia la spiaggia nera di Maratea è d’un bianco luccicante. A uno sul libro di storia gli si è stinto un capitolo sulla seconda guerra mondiale, e alla fine l’attacco a Pearl Harbor l’hanno fatto a Perlana e gli americani manco se ne sono accorti. E poi: mamme che hanno disinfettato i guanti con cui avevano disinfettato i guanti con cui avevano disinfettato i guanti, creando un loop spazio-temporale che ha disinfettato fino al big bang; famiglie che la notte prima, per evitare contagi dell’ultim’ora, hanno lasciato a casa il solo scolaro, dormendo gli altri componenti ciascuno in un albergo diverso; salumieri attrezzatisi per fare il tampone rapido al panino con la mortadella prima d’avvolgerlo nella carta oliata.
E quindi è arrivato il fatidico lunedì e s’era tutti pronti alla nuova avventura, quasi inedita (fatta salva la stitica parentesi d’ottobre, nei fatti questi alunni, i banchi, non li vedevano dalla primavera). Nel piazzale all’ingresso, peraltro, che tenerezza: ragazzini, amici del cuore, che non si vedevano da mesi, che comunque mentre s’era in attesa d’entrare in classe sono stati attenti a non avvicinarsi, abbracciarsi, stringersi mani. Nessuno, davvero, che si sia calato d’un millimetro la mascherina, che abbia fatto un passo in più, una qualunque azione poco avveduta.
Poi, però, di botto, la campanella. Portoni spalancati, nessuno che presidiava o controllava, e quindi studenti che, a voler rispettare il distanziamento anche durante l’ingresso, sarebbero entrati in classe per ora di pranzo.
Totale: folla e ammassamento per le scale, e giorni di prevenzione e raccomandazioni gioiosamente giù per lo sciacquone. E ok: vuoi mettere, però, la scarica d’adrenalina nell’averci provato?

30 gennaio 2021 – Riproduzione riservata

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