Roghi d’espressione

[di Ernesto Giacomino]

Quello che m’inquieta, di questa faccenda delle macchine incendiate nottetempo in città, è come ancora una volta approcciamo marginalmente alla sostanza delle cose: il perno della questione è davvero – e solo – l’assenza delle videocamere di sorveglianza? Siamo certi che risolvere la diatriba del perché non ci siano, dandoci vicendevolmente del bugiardo o del delatore, aiuti a risolvere la questione d’un solo millesimo?
È tipo quel monologo comico sul Titanic di Paolo Rossi, che parla d’un marinaio che dopo l’urto con l’iceberg va dal capitano nel salone delle feste urlando una parolaccia prima di riferire che stanno affondando. E il capitano subito si dimostra sconvolto e inorridito: ma non per l’annuncio catastrofico, quanto per il linguaggio scurrile. Cosicché, dopo averlo rimproverato platealmente, se ne torna a ballare.
Ché, insomma, alle volte l’approccio alla questione della sicurezza cittadina suona come certe assemblee d’istituto in cui il dibattito fra gli studenti, anziché riguardare pecche strutturali e miglioramenti istituzionali, trascende in battibecchi tipo la qualità dei gessetti o la pretesa dell’aspartame nella cassetta del pronto soccorso.
Rianalizzando i fatti, allora. Com-plessivamente, otto auto a fuoco in tre date diverse. I primi incendi avvengono a qualche giorno di distanza, ma in zone vicine, grosso modo nello stesso rione: via Matteo Ripa una volta, piazza De Vita l’altra. L’ultimo, invece, in ordine di tempo, è in via Palatucci, zona Sant’Anna. Stessa ora della notte, due soli giorni dopo il rogo di piazza De Vita.
Capiamoci, nulla vieta che si tratti d’incendi spontanei: cortocircuiti, mozziconi, perdite di carburante. Se invece sono dolosi, però, prescindendo che gli autori siano piromani, intimidatori o semplici vandali, una cosa è certa: non è che a oggi si stiano sentendo tutto ’sto gran fiato sul collo. Ché dopo la prima volta, voglio dire, t’immagini che per un po’ non osino manco scendere a buttare l’immondizia, talmente dovrebbe essere fitto e soffocante il pattugliamento delle strade. Invece – sempre se confermata l’ipotesi degli incendiatori seriali – i fatti direbbero che girano indisturbati da oltre due settimane: seppure plurirecidivi hanno la serenità d’uscirsene ogni tot di notti, individuare le vittime, compiere serenamente il misfatto (pure col lusso d’una certa puntualità nel reato, tipo firma o marchio di fabbrica) e poi, chissà, andarsene a brindare in qualche bar.
Mi chiedo allora perché sia così impronunciabile, qua da noi, la frase “controllo del territorio”. Perché sia così un tabù ammettere che c’è qualcosa di assolutamente emblematico e preoccupante, nel fatto che a Battipaglia chiunque in strada faccia impunitamente ciò che vuole: auto in doppia fila che paralizzano chilometri di traffico, imbrattatori a spray di muri e saracinesche, gente che orina nei cestini o vandalizza bancomat e distributori, moto sparate a cento all’ora su via Mazzini, branchi d’adolescenti che provocano e aggrediscono padri di famiglia, parcheggiatori abusivi che t’intimano di dare a loro i soldi del parcometro.
Perché la scelta è semplice, alla fine. O si risolvono drasticamente queste carenze, o nessuna videocamera basterà a scongiurare il fenomeno maggiormente dannoso per questa comunità: l’assuefazione all’anormalità.

23 aprile 2022 – © riproduzione riservata

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