Run baby run
[di Ernesto Giacomino]
L’Italia è un popolo di santi, artisti e navigatori e – zumando su Battipaglia – di pedoni allo sbando. Tolti antichi paeselli tirati su a viottoli e quadrucci incastrati, dove pure due bici frontali fanno fatica a passarci insieme, questa è l’unica città in cui la gente a piedi fa quello che vuole. Ci sono le strisce pedonali, non ci sono, chissenefrega. Il semaforo è rosso, il semaforo è giallo, idem. Percorro, ergo sum.
Qui non si passeggia, non si cammina: si invade. Grumi di studenti, massaie con la spesa, comitive sbevazzone: basta avere la carreggiata libera, basta essere fuori da quei quattro o cinque grandi corsi intasati di macchine, e via. Si va per strada. Al centro esatto, della strada. Lenti, indisturbati, padroni. Non venisse mai in mente a un auto in transito di suonargli alle spalle, a questi qua: si voltano con quel sottocchio assassino, il braccio scocciato e plateale che fa gesti da segnalatore aeroportuale: “vai, va’, ci passi largo, mica stai guidando l’Andrea Doria”.
Giusto, giusto così. D’altra parte quell’invenzione nuovissima del terzo millennio (ancora senza nome, ma pare vogliano battezzarla “marciapiede”) è in fase di sperimentazione e non si sa se funzionerà o meno. Per il momento, comunque, risulta utile per parcheggiarci gli scooter, portarci i cani a evacuare e metterci sopra le ruote della Smart ficcata di muso.
Poi c’è qualcuno, per l’appunto, che in futuro prospetta anche di farci andare i pedoni, ma i teorici del diritto vi profilano già una certa anticostituzionalità. Limitazione al libero flusso delle genti, nevvero. Svilimento dei diritti civili. Dittatura dei motorizzati.
Sulla strafottenza di massima del pedone battipagliese dovrebbero farci un trattato, altroché. Il passo & spasso lentissimo tra via Italia (pardon, piazza Moro) e piazza Amendola – ah beh, ma ci sono le strisce, vuoi che non mi ci fermi nel mezzo a sbaciucchiare l’amica che non vedo da tanto? – potrebbe assurgersi a esempio per future rivoluzioni pacifiste: come ti blocco un’intera città in soli otto passi. Otto passi trascinati, fatti con cura e dovizia, come se ogni tallonata lasciasse un marchio vip sull’asfalto alla Mann’s Chinese Theater: guardate, posteri, qui ci sono passato io, ci ho messo ben tre minuti provocando imprecazioni di automobilisti accodati fin da via Belvedere.
E non scherzo, su questo, nossignori. Ovunque si blatera che Battipaglia sia tagliata in quattro dall’intersezione di fiume e ferrovia, e nessuno pare accorgersi che è molto più segata in due dagli abusi di precedenza su un’infilata di strisce bianche a piazza Amendola. Cosicché il risultato, specie nei weekend, è un insulto alla viabilità lungo chilometri. Un’esondazione – stavolta non d’acqua, ma di smog e lamiere – che meriterebbe pari gloria su qualche tg nazionale.
Disorganizzazione contro diseducazione, quindi: una bella lotta. Com’è triste consuetudine, quaggiù. In organizzazione aziendale c’è un detto sul gioco di squadra: se un migliaio di persone impegnano ciascuna un grammo del proprio cervello, alla fine si ha comunque un cervello intero. Qui siamo in sessantamila, e allora muoviamoci: ne basterebbe molto meno.
16 ottobre 2014 – © riproduzione riservata