Un sabato italiano
[di Ernesto Giacomino]
Dalla Costituente, al Parlamento, a Bruxelles, scendendo alle “leggine” d’emergenza dell’esecutivo, e più giù fino alle leggi regionali, alle delibere delle amministrazioni periferiche, ai regolamenti e al decalogo di comportamento delle commesse della boutique all’angolo, esisteva un tempo, in diritto, una gerarchia delle fonti. Ora no. Esiste, più semplicemente, una fonderia delle leggi.
Distratto dai romanzi rosa editi da Palazzo Chigi, ignavo per presunta discendenza diretta dall’ominide di Neanderthal, propenso a confondere il senso civico col senso unico, l’italiano medio è l’unico essere umano cui si possa far credere che un regolamento deroghi una legge dello Stato. Succede con le banche, che pur di non cambiarti un assegno piegano il codice civile alle loro circolari interne; succede con la stipula delle assicurazioni auto (obbligatorie per gli assicurati, facoltative per le compagnie); succede con certe norme condominiali, che s’allungano a “vietare” cose che la legge consente, finendo spesso anche per limitare la sacrosanta e inviolabile libertà degli individui (è illegale, fidatevi, mettere ai portoni quei cartelli con la scritta: “in questo stabile è vietato l’accesso agli estranei in generale”).
Leggi snobbate, insomma, norme che si confondono con convinzioni, consuetudini di mera educazione trasformate in editti: chi meglio urla, comanda. I mille tentacoli del nuovo diritto: articolo uno, la sovranità spetta al polipo.
In questo calderone grigio e fumante di regole sovrapposte, un posto d’onore – all’inizio di ogni anno scolastico – è occupato dall’annosa questione dei giorni di funzionamento delle scuole materne. Cavillando su un giorno specifico: il sabato.
Che i dirigenti scolastici abbiano una certa autonomia nell’organizzazione del proprio istituto è cosa buona e giusta. Che, però, ogni asilo pubblico costituisca una nazione a parte pare un tantino esagerato. A Battipaglia, si parte da scuole materne inderogabilmente chiuse di sabato, ad altre inderogabilmente aperte l’intera settimana. Confluendo, ovviamente, in quelle ibride, che rappresentano l’aspetto più simpatico della faccenda. In sintesi, in quest’ultima categoria di istituti le cose funzionano più o meno così: si raccolgono per iscritto le volontà dei genitori (ciascuno dei quali ha l’obbligo di “documentare” l’esigenza che il proprio figlio frequenti la scuola anche il sabato mattina) e ci si organizza in merito. Da quanto ho capito, alla fine un tot (imprecisato) di bambini compone un “sì, restiamo aperti”; al di sotto, forma un “nisba, trovatevi una baby sitter”. Articolo uno, rimodulato: la sovranità spetta al pendolo.
Pur volendoci sganciare dal diritto scritto e rimanere nell’ambito di quello cosiddetto “positivo”, esiste in queste procedure una sommatoria di crimini deontologici di cui rabbrividire. In primis, la “documentazione” dell’esigenza da parte dei genitori: cosa significa? Devo presentare un attestato di lavoro? E se sono in nero? Mando ugualmente mio figlio all’asilo, ma travestito da attaccapanni? Oppure non si fa riferimento esclusivamente al lavoro, e allora posso allegare il certificato medico della nonna con i reumatismi, l’abbonamento al cineforum del mattino, le foto di mia moglie fedigrafa da pedinare?
E in secundis, perdonatemi: e se le maestre volessero ugualmente andarci, il sabato? Non sarebbe meglio, per loro, trascorrere la mattinata in girotondi e costruzioni, piuttosto che disquisire con le bidelle di salsa tonnata e punto a croce?
Ernesto Giacomino (1968) nasce e vive a Battipaglia. Giornalista e scrittore, ha pubblicato due romanzi: D’istinto distante (Allori Edizioni, 2003) e Ponti di Ferro (De Ferrari & Devega, 2006). È stato finalista all’edizione 2005 del premio letterario internazionale di Terre di Mezzo, con il racconto ’Na stizza (antologia La stazione, Terre di Mezzo, 2005).
7 ottobre 2011 – © riproduzione riservata