Sì o no?

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Negli ultimi tempi non si parla d’altro: il Referendum costituzionale del 4 dicembre sta assumendo i connotati d’una battaglia campale tra due parti del Paese che s’oppongono a suon di “sì perché” e “no perché”.
Le motivazioni che infiammano gli animi degli italiani in vista dell’imminente appuntamento referendario sono molteplici. Qualcuno s’è ben documentato ma, in molti casi, forse pure a causa d’una campagna elettorale troppo mediatica e poco contenutistica, regna incontrastata la confusione.
In ballo ci sono ben 36 dei 139 articoli che compongono la Costituzione Italiana. Importante ricordare che non occorre il quorum: i risultati saranno valevoli a prescindere dall’affluenza alle urne.
Il grosso della riforma costituzionale Renzi-Boschi riguarda il Senato. Al momento, infatti, all’insegna del bicameralismo paritario, 630 deputati e 320 senatori (di cui 5 a vita) approvano le leggi nel medesimo testo. Se vincesse il sì, i senatori diventerebbero 100 (74 consiglieri regionali, 21 sindaci e 5 nominati dal Presidente della Repubblica), gli amministratori a Palazzo Madama acquisirebbero l’immunità parlamentare e non beneficerebbero delle indennità (che verrebbero comunque rimpiazzate dai rimborsi spese) e le leggi sarebbero discusse e approvate soltanto dai deputati. I senatori avrebbero dieci giorni di tempo – quindici per la legge di bilancio – per chiedere di poter esaminare le leggi, e potrebbero proporre modifiche nell’arco di trenta giorni. La Camera, però, potrebbe comunque ignorare le proposte del Senato. Il bicameralismo paritario, tuttavia, rimarrebbe in fatto di leggi costituzionali e normative riguardanti i rapporti con l’Unione Europea e con gli enti locali.
Cambierebbero anche le modalità di elezione del Presidente della Repubblica: al momento, infatti, oltre ai parlamentari, a votare il Capo dello Stato ci sono anche 54 delegati regionali; se vincesse il sì, invece, il compito spetterebbe soltanto ai 630 deputati e ai 100 senatori, e per l’elezione del Presidente occorrerebbe la maggioranza di due terzi dei componenti fino al terzo scrutinio, la maggioranza di tre quinti dei componenti dal quarto al sesto scrutinio, la maggioranza di tre quinti dei votanti a partire dal settimo.
Se il sì prevalesse sul no, poi, verrebbe abolito il Cnel (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).
Altro spinoso punto è rappresentato dai rapporti tra Stato e regioni: verrebbero meno i poteri condivisi, e al controllo delle regioni, ad esempio, verrebbero meno i porti, gli aeroporti, la protezione civile, l’energia, l’ordinamento sportivo e la previdenza integrativa.
Infine verrebbe portato avanti il processo di abolizione delle province.

25 novembre 2016 – © Riproduzione riservata
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