Sopra le nostre teste

Hanno ripreso a urlare. Paolo se n’è andato. Ha infilato gli auricolari ed è scappato via, perché non vuole stare lì ad assistere all’ennesimo litigio tra i suoi.
La mamma e il papà bisticciano almeno una volta al giorno. Si sputano addosso quotidianamente la rabbia. La parola che pronunciano più volte è “fallito”: è così che lo apostrofa lei, e lui si difende, ma lei glielo ripete, e lui si cuce quell’aggettivo addosso, e lei ritratta, ma lui no. Va avanti per mezz’ora: poi la donna si rintana in camera e rannicchiata sul letto guarda le vecchie foto mentre rivoli di lacrime le solcano il viso; l’uomo siede su un divano in cucina e stringe una bottiglia in una mano e legge quella lettera mentre rivoli di lacrime gli solcano il viso. “Sfratto per morosità”, c’è scritto. “Sei un fallito”, si ripete, e manda giù un sorso.
Paolo passeggia per le vie della città: l’aggressiva musica che ascolta dà voce alla sua furia, mentre il rullante detta il ritmo dei suoi passi. In quella sera piovosa, a Battipaglia, non si vede anima viva. Paolo guarda la città: al chiar di luna sembra ancor più abbandonata. Passa accanto a un’edicola: al muro sono ancora appese le locandine dei quotidiani, e allora legge che un importante assessore regionale ha detto seccamente che “l’impianto si farà”.
Adirato strappa il foglio dai mattoni, lo appallottola e lo getta via. Si siede sul ciglio della strada, chiude gli occhi e rivede nella mente quel piccolo pezzo di terra che il papà e lo zio avevano ereditato dai nonni: gli avevano sempre raccontato che, fino a poco più d’un decennio fa, gli affari andavano a gonfie vele. Prima del finimondo: “Emergenza rifiuti”, avevano detto, e qualche politico importante aveva deciso di costruire un enorme impianto a poche decine di metri dall’appezzamento di famiglia. Poi erano stati inaugurati altri centri per i rifiuti, e quel piccolo fondo s’era ritrovato circondato. E il proprietario dell’azienda che un tempo comprava gli ortaggi di famiglia per rivenderli aveva fatto capire al papà di Paolo che la gente non voleva più acquistare un prodotto coltivato nel bel mezzo del pattume. “Voi mi capite…”, gli aveva detto. Paolo era piccolo e non capiva, ma anche adesso fatica a capire.
Il papà aveva perso fior di quattrini, e il raccolto era marcito a terra, e proprio in quei mesi lo zio era morto, stroncato dal “male del secolo”. Un tumore, a trentott’anni.
Proprio qualche giorno fa, dopo una mammografia, Paolo ha origliato dalla sala d’attesa. “Sua moglie ha una macchia al seno”, dicevano i medici al papà.
Paolo si rialza e continua a camminare. Arriva a piazza Aldo Moro: quant’è distante la strada che c’è tra casa sua e quel palazzone rosso!
Fissa i lampioni, e pensa che soltanto guardando la luce si vedono le gocce d’acqua che scendono dal cielo.
Altrimenti, sopra le nostre teste, accade di tutto. E noi, al riparo d’un cappuccio, manco lo sappiamo.

22 settembre 2017 – © Riproduzione riservata
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