Stefania Ciancio,la danza dal 1984

Non è stato il “solito” saggio quello organizzato dalla Scuola Abracadanza di Stefania Ciancio, domenica 23 giugno a Giffoni. Aveva, stavolta, un “profumo” diverso: il profumo dell’anniversario importante. Sono trascorsi infatti 40 anni dal primo saggio al teatro Garofalo nel 1984. 40 anni che hanno trasformato Abracadanza in una vera e propria istituzione cittadina, amata e frequentata negli anni da centinaia di giovani danzatori, alcuni dei quali hanno raggiunto traguardi prestigiosi e iniziato carriere luminose alla Scala di Milano, con l’Aterballetto, con il Northern Ballet o, come il battipagliese più noto nel mondo della danza, Francesco Ventriglia, dirigendo grandi compagnie in tre continenti.

E non è un caso se alcune delle decine e decine di diplomate del passato hanno voluto essere presenti sul palcoscenico della Sala Truffaut per riprovare per un attimo il sapore del loro passo d’addio e riabbracciare Stefania e il suo staff: dalle “storiche” Simona Bufano, Tiziana Giocondo e Iole Santimone alla giovane Alfonsina Beatrice.

Stefania Ciancio, che a questa sua creatura ha dedicato praticamente tutta la vita curandola con passione e serietà, ci ha detto: «Ho visto passare due generazioni di ragazze e ragazzi nella mia sala, anzi da un po’ vedo affacciarsi persino la terza, e di tutti serbo un ricordo, un aneddoto; li ho viste e visti crescere, maturare, ne ho intuito i turbamenti, le gioie e le preoccupazioni che la scuola, gli amori adolescenziali o le famiglie gli mettevano nel cuore e sono affezionata a tutte loro, anche se con diverso trasporto. Ho curato il passo d’addio di oltre cento ragazze: li ricordo tutti perché l’ho fatto mettendoci tutto il mio impegno, ricevendone in cambio tanto affetto, tanta serietà, tanto impegno e anche tanta felicità. Basta vedere i loro sorrisi alla fine della serata, persino qualche lacrima al pensiero che il percorso di studi è finito. Spesso sento dire da professionisti che la danza è sacrificio: non sono d’accordo. La danza è certo una disciplina ma è soprattutto una pratica artistica e culturale: ti aiuta a conoscere i tuoi limiti, ti insegna a superarli e a comprendere quanta gioia ci può essere e quanto forma il tuo carattere il confrontarsi con un pubblico su un palcoscenico».

Ha qualche rammarico, Stefania?
«Uno solo: dover fare il saggio a Giffoni. È una sala splendida, accogliente e il personale è efficiente, ma ho nostalgia del nostro Garofalo. Per me, per noi, il Garofalo aveva il sapore di casa… il sapore delle cose alle quali restiamo legati per tutta la vita».

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