Stir e ammira | di Ernesto Giacomino

Occorre farci benedire, non c’è altra alternativa. L’unico fulmine, di un intero inverno, che sia fuggevolmente transitato per l’entroterra campano, ce lo siamo beccati noi. E non in piazza, nei campi, su un qualche edificio particolarmente alto, nossignori: sempre lì, allo Stir, dove in una manciata di mesi s’erano già succeduti ben due incendi “accidentali” che avevano comportato il blocco o la sospensione della lavorazione dei rifiuti. E cumuli di monnezza inevasa, ovviamente.

Non c’è stabilimento più scalognato, insomma. Odiato e maledetto, pare, non solo da noi comuni mortali ma addirittura dalle forze della natura, secondo un diktat imposto direttamente da entità ultraterrene: quella tritovagliatura non s’ha da fare, né domani né mai. Tant’è che a breve sarà resa pubblica la nuova estensione dell’acronimo Stir: non più “Stabilimento per la Tritovagliatura e l’Imballaggio dei Rifiuti” bensì “Sfigati Tentano Inutilmente la Riparazione”. Perché è così, che funziona: un qualunque evento naturale, di qualunque portata e origine, dall’eruzione di un vulcano al diluvio universale, passando per l’invasione delle cavallette e gli allineamenti dei pianeti, metti che si localizzi a Battipaglia non farà altro danno in nessun’altra zona se non allo Stir. E non nel parcheggio, sui cancelli, negli uffici, nel gabbiotto del guardiano: ma esattamente lì, in una qualche linea di produzione fondamentale per lo smaltimento quotidiano del lavoro.

Se in un condominio scoppia una tubatura, tre giorni di allagamento e poi tutto riparato. Se succede allo Stir, si arrugginirà sicuramente il bullone centrale del quadro di controllo della linea principale a capo di tutti i processi di lavorazione, dall’ingresso all’uscita dei rifiuti.

E stop, produzione bloccata a tempo indeterminato. Se un cane di passaggio minziona sotto casa mia, al massimo restano puzza e macchia per un paio di giorni. Se lo fa nei dintorni dello Stir, contaminerà di sicuro un tombino collegato con l’areatore che conduce a un filtro sovrastante la sala di comando centralizzata che gestisce il software di accensione e spegnimento di qualunque macchinario presente, passato o futuro.

Siamo alla prese con un impianto moderno ed efficiente, insomma, ma estremamente cagionevole. Uno stabilimento con le difese immunitarie basse, forse per un problema di tonsille da togliere.

Oppure andrebbe vaccinato periodicamente, come si fa con le influenze di stagione: tie’ una dose contro le frane, un’altra che ti ricoveri dai nubifragi, questa qua per le alitosi eccessive dei dipendenti.

La sera, per dire, prima di terminare il turno e andarsene tutti a casa serenamente, andrebbe coperto con un buon plaid di cachemire e imbeccato di camomilla calda. I macchinari, anziché tenerli a regime per ventiquattr’ore filate, ogni sei-otto ore andrebbero addormentati con una favoletta tranquillizzante, tipo L’ecoballa addormentata nel bosco, Avanzel e Gretel, Cassonetto Rosso.

Perché, ricordiamocelo, quando lo Stir si ferma ci sono solo due soluzioni: o i rifiuti s’innalzano per le strade fino a sfidare la piramide di Keope, o devono balzare sui tir e camminare per altrove. E il cammino, per qualunque destinazione, costa tempo e nafta. E tempo e nafta vanno adeguatamente remunerati, unitamente a un certo sovrapprezzo per il fastidio arrecato.

Per cui: mi raccomando la prevenzione. Soprattutto perché da qui a un mese tornerà la primavera, e defecazioni improvvise di rondini potrebbero essere letali per la linea elettrica.

27 febbraio 2012 – © Riproduzione riservata

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