Stira e ammira

[di Ernesto Giacomino]

Ma sì, è tempo d’un pezzo leggero. Un pezzo di costume, tra quest’inondazione di notizie sempre più tristi e demotivanti: la crisi energetica, la guerra, le zuffe post elettorali. Per cui, ogni tanto, prendiamocela col sorriso. Parliamo d’altro, di roba effimera. Parliamo di moda. Ché intervistai, una volta, una professoressa universitaria che mi spiegò che proprio la moda, da secoli, fa più politica dei politici. Che il re Sole, ad esempio, per l’accesso a Versailles stabiliva outfit talmente ricercati e costosi che non potevano permettersi neanche i nobili, e allora li finanziava lui stesso, assicurandosi così la loro fedeltà e sottomissione. Il famoso re-volving, insomma.

Tornando nel ventunesimo secolo, però: Battipaglia. C’è un fenomeno, in fatto di tendenze, che mi sta spiazzando sempre di più: i saloni di barbieri e parrucchieri. Una volta erano esercizi che riuscivi a scovare a stento, con parecchia fatica, esclusivamente leggendo l’insegna. Perché a voler scrutare da fuori, macché: tendine, paraventi, vetri oscurati. Se t’azzardavi ad affacciarti d’un palmo sì e no scorgevi qualche gamba delle persone sedute nella zona attesa.

Come dire: l’arrangiamento del capello era un’arte pudica, riservata. Intimistica. Tant’è che in alcuni saloni c’erano addirittura dei separé tra chi attendeva e chi era già sotto i ferri.

Adesso invece: e vai. Se ti capita di passare davanti a un barbiere non puoi non accorgertene: sono esposizioni artigianali a cielo aperto, vetrine viventi lunghe e larghe quanto l’intero negozio. Esibizioni di free-style da bartender, a beneficio di qualunque passante. Solo che, anziché bottiglie e shaker, questi lanciano per aria spazzole e phon.

Se passeggi nei pressi di questi locali ci sbatti contro, ci sono proprio delle luci particolari – sul bluette, il rosastro, il bianco freddo – che t’attraggono come il fulminatore di zanzare. Devi soffermarti e vederlo bene, quello che fanno: il taglio neomelodico al ragazzetto, l’arricciata al baffo del signore attempato, la tinta bionda sul ciuffo dell’aspirante calciatore. E spesso, peraltro, le vetrine sono anche allestite con oggetti d’arte o d’antiquariato, biciclette vintage, manichini disossati. Come il messaggio fosse parecchio più impegnativo e complicato del semplice “qua si tagliano capelli”: no, no, qua si fa la storia del costume. È la catena di montaggio della bellezza, del benessere, dell’autostima: fermo là, insomma, e contemplaci.

E ci sta, eh, ci sta tutto. Sono un artigiano, sono certo di lavorare bene, perché mai non dovrei espormi al pubblico? E il cliente, poi: certo, magari la prima volta ci sarà pure imbarazzo, la questione della privacy e cose così, ma in realtà cosa c’è di diverso da quando giri col carrello per il supermercato e tutti possono sapere cosa mangerai a pranzo, oppure quando sei in farmacia e tutti possono capire che se ti siedi con la ciambella non è perché fai il collaudatore di articoli da spiaggia?

E sì, e ok, c’è sempre più una voglia matta di esibizione, e allora? In una masnada, qua in città, d’altri commerci e intrallazzi che volutamente restano occulti, di vetrine che misteriosamente appaiono spente e vuote, un po’ di sana chiarezza non può che farci bene.

29 ottobre 2022 – © riproduzione riservata

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