Strada dissossata
[di Ernesto Giacomino]
Chirurgia classica di taluni lavori strutturali battipagliesi: mesi a incidere, operare, asportare, richiudere. Ma – apoteosi del grottesco – senza ricucire.
Per dire: da viale della Libertà al tratto “alto” di via Gonzaga, fino all’allaccio con la provinciale per Olevano, c’è stato questo tempo recente di disagi stradali, cantieri infiniti, frastuoni di cingolati e martelli pneumatici, che solo da poche settimane pare realmente – e definitivamente – cessato.
Cosa dovessero fare non lo so. Nemmeno m’interrogo, al riguardo. Tuttavia, nutrendo una buona fede di massima nei confronti dell’intera umanità, non posso avere alcun dubbio sul fatto che si trattasse di roba urgente, irrimandabile, necessaria.
Le conseguenze, però. L’incuria nel lasciare un manto stradale diviso tra frettolosamente rattoppato e pericolosamente denudato. L’impossibilità di una canalizzazione serena imboccando viale della Libertà alle spalle del “Besta” (altezza ingresso campo Spes) a causa della mezza carreggiata non asfaltata e sdrucciolevole per il pietrisco. Le buche e gli avvallamenti da motocross (grazie alle spalmate di bitume a caso con tecnica patchwork) giusto all’incrocio con via Domodossola, una delle arterie a più alto traffico nelle ore di punta (e sì che si arriva a varie scuole, da lì, e per il grosso del tempo macchine e pullman sono pieni di bambini).
Evidenza innegabile: ammortizzatori che scattano, braccetti che scricchiolano, pneumatici che soffrono. Quindi niente, teniamoci pure pronti all’agguato dei soliti furbi: assicurazioni, avvocati, periti, costose cause al Comune per i danni alle auto. Perché, in fondo, che pretendiamo: gliel’abbiamo servita – e continuiamo a farlo – sul famoso piatto d’argento. Tanto più che lo stato attuale di quelle vie lo è davvero, pericoloso: tanto per gli automobilisti che per i pedoni.
Stupisce, in verità, che in una città che tenta faticosamente di riguadagnare un assetto urbanistico serio con opere come la ristrutturazione del sottopasso, o la rotatoria di viale Barassi, o la retrostazione in via Brodolini, s’inciampi ancora su lassismi banali come questo. Due, trecento metri di strada da riasfaltare dignitosamente: e che sarà mai. Il minimo sindacale per anestetizzare i ricordi dei cittadini circa i mesi passati in coda per cantiere infiniti.
Chiaro che da qualche parte ci sarà una causa, una giustificazione, una scusa. Quelle ci sono sempre, ne abbiamo sentite a iosa: si va dal maltempo all’impresa inadempiente, passando per il Comune insolvente o la contestazione sull’appalto. Cause di forza maggiore, a tali livelli, non solo col potere magico di assolvere tutti ma anche con la pretesa di zittire in partenza qualunque lamentela: se non è colpa né di Tizio, né di Caio, né di Sempronio, prenditela con l’oroscopo o il calendario di Frate Indovino.
Cosicché mi torna in mente quand’ero ragazzo e arrivavo tardi su questo o quel posto di lavoro, col capo di turno che mi guardava sott’occhio e borbottava che no, non mi giustificava per niente, perché – diceva – è ovvio che “tutto avviene per un motivo ma cosa vuoi che freghi ai clienti che aspettano”. E in cuor mio, in verità, non potevo che dargli ragione.