Svenga, dotto’…
[di Ernesto Giacomino]
Ricordo che il parcheggio pubblico di via Matteo Ripa lo s’inaugurò tra frizzi e lazzi, ricchi premi e cotillons: currite, accurrite, qua si spende poco e si posteggia bene, ci abbiamo un antipastino all’asfalto e una frittura di strisce che vi delizierà il palato. Nasceva così il parcheggio equo e solidale, quello che costava la metà di tutti gli altri e ti sbatteva in pieno centro, a un’affacciata da piazza Moro e quattro passi da via Mazzini. Tant’è che, se la memoria non fa scherzi, c’era pure una sorta di prezzo ancora più convenzionato per la sosta lunga (tipo abbonamento mensile, settimanale o giù di lì).
Certo, s’era all’epoca della famosa cooperativa terza che manuteneva i parcometri, in quel periodo appena successivo al licenziamento dei parcheggiatori amanuensi e appena precedente la fuga col bottino da parte dei cooperanti medesimi.
Arrivavi, mezz’euro per un’ora a fronte dell’euro che pagavi altrove, ti facevi la capatina al supermarket o dal barbiere, e di nuovo a casa a costo contenuto.
Poi, boh. Io l’ho notato tre mesi fa e l’ho rinotato la settimana scorsa, e si suppone – per la teoria scientifica del continuum del disservizio – che sia stato così per tutto il periodo intercorrente. Cioè, voglio dire: la macchinetta per il pre-pagamento del parcheggio non funziona. Ah, beh, mi si dirà, allora è semplice: c’è un gabbiotto, lì vicino, ci avranno messo un addetto “de carne”. No, nemmeno. Quindi? Quindi niente: ti avvicini al parcometro, e sul display c’è scritto roba tipo “fuori servizio” e “utilizzare un altro apparecchio nelle vicinanze”. Un altro apparecchio quale? Uno di quelli su via Roma? Può essere, ti dici. Non fosse, però, che lì il parcheggio costa un euro l’ora. E la macchinetta – assurdo a dirsi, ma è così – non lo sa, che invece hai messo l’auto dove il servizio costerebbe esattamente la metà. Hai voglia a implorarla, è testato: non te lo fa, lo sconto automatico. Delle due l’una, allora: o è sbagliata la scritta sul display, oppure a via Matteo Ripa la tariffa è silenziosamente raddoppiata. Così, ovviamente, non pare, giacché la tabella con orari e prezzi posta all’ingresso del parcheggio parla ancora di cinquanta centesimi l’ora.
Quindi? Come stiamo messi, legalmente? Logica vorrebbe che se non mi dai lo strumento per pagarti non è che posso mandarti un bonifico in tesoreria e aspettare che ti arrivi, o lasciarti il buono col caffè pagato al circolo Fenalc. Ma si sa, sulle imposizioni la logica conta poco. Fa molto più gioco il paradosso, la paura della multa comunque immotivata ma che ti costringerebbe a costosi ricorsi e impugnazioni.
Cosicché, niente. Il buon cittadino – l’ho visto fare, oh sì che l’ho visto – dopo sbuffi e imprecazioni prende e s’imbarca a via Roma, fa il biglietto al doppio del prezzo e lo schiaffa sul cruscotto. Il buon forestiero, invece, che di ‘sto dualismo di tariffe inizialmente non ne sa niente, gli sbuffi e le imprecazioni le mette giù dopo, quando s’accorge che l’“apparecchio nelle vicinanze”, ingoiando le stesse monete, gli ha dimezzato il tempo di sosta.
Insomma: tu chiamale, se vuoi, deviazioni. Disservizi, trascuratezza. Oppure, non sia mai, ma com’era? “A pensar male si fa peccato…”.