Trent’anni di solitudine

[di Ernesto Giacomino]

Vagabondando sul web m’è ricapitato sott’occhio un vecchio articolo, datato 2016, in cui si annunciava che il Comune di Battipaglia aveva proclamato uno studio d’architetti potentini quale vincitore del concorso di idee per la riqualificazione della rotonda allo svincolo autostradale.
Avete presente di che si parla, giusto? No, perché il termine “rotonda” inganna, fa credere d’avere a che fare con un discorso di viabilità. In realtà è altro: è semplicemente un’ovoidale terra di nessuno, di dimensioni spropositate rispetto alla bisogna. Eredità, per la cronaca, d’un primo tentativo di cavalcavia di trent’anni fa, poi rovinosamente naufragato tra gli strascichi di Tangentopoli e la vorticosa mutabilità delle norme edilizie nei lavori pubblici.
Voglio dire: non la si è costruita, in questa nuova tornata, e magari il progetto di stavolta neanche l’avrebbe prevista. La si è semplicemente lasciata là quando si sono smantellati i lavori pregressi: “dotto’, qua avanza ‘na rotatoria, che ne facciamo?” “Lasciatela là, è peccato buttarla, domattina parlo con un amico e vedo se gli serve”. La vecchia cultura del riciclo, insomma; come accadeva una volta, quando si rottamavano le automobili: ne si riconsegnavano solo le targhe, il telaio lo si lasciava in campagna allo zio per farci razzolare le galline (che poi boh, magari serviva ad allevarle meglio, con quell’illusione che in qualunque momento potessero mettere in moto e scappare).
L’area più brutta, insomma, di un’intera città (che già di suo non eccelle in bellezza); un coacervo d’erbacce e munnezza, in un affascinante e simbolico abbraccio tra savana e bidonville: la crudezza della natura incontaminata contro la dirompenza del consumismo. Il tutto, peraltro, messo ad accogliere i forestieri appena fuori dall’autostrada, cosicché all’ingresso abbiano subito un’idea bella precisa della portata del nostro senso estetico.
Comunque, tornando a bomba: finita poi come, l’idea di riqualificazione del posto? No, perché a vedere il progetto c’era da svenire dalla commozione: un viale alberato di qua, lampioni futuristici di là, botteghe-mercato in mezzo, e verde a spiovere, e monumenti, e ricchi premi e cotillon. Per cui: a oggi, come staremmo messi? Ovvero: in cinque anni, da che s’è deciso che questa era l’idea di riqualificazione più fattibile e originale, quali passi successivi sono stati fatti?
Io non lo so, come funzionano i concorsi di idee, ma per come la immagino sarà una cosa tipo: cari ragazzi, in un lasso di tempo che va dai due mesi ai novantacinque anni realizzeremo questa data opera urbanistica, presentate i progetti ed eseguiremo quello che riterremo migliore. Cioè, ci sarà o no, in qualche modo, un’assunzione d’impegno, un “gentlemen’s agreement”, un patto deontologico, un qualcosa che distingua questo tipo di concorsi da quelli della parrocchia per il miglior disegno sulla pace nel mondo?
Perché se è così, allora diteci come e quando procederà, questa riqualificazione, magari cominciando pure qualche opera preventiva tipo convertire in manto erboso quell’accrocchio di gramigne e fetenzia. O se no, più brutalmente, estirpate e cementate: ché alle volte, più che nell’ostinazione, il vero scatto di dignità è nell’autodistruzione.

30 maggio 2021 – © riproduzione riservata

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