Trucco e parrucco

[di Ernesto Giacomino]

Non sappiamo di chi sia la colpa, ma fatto sta che a Battipaglia la bellezza – diciamocelo – non è mai arrivata. Ci avevamo messo un assessore apposta, ma niente da fare. Tant’è che perfino lui, alla fine, ha dato forfait. A prescindere dai motivi, voglio dire: in accordo o in dissenso con la sindaca, accodato o refrattario alla linea politica della maggioranza.
Hai detto niente, fare bellezza a Battipaglia. Significherebbe mettere mano a novant’anni d’incuria, toppe, raffazzonamenti. Nemmeno imbocchi la rampa d’uscita dall’autostrada che già il messaggio di malvenuto è chiaro: palazzi fatiscenti, ettari d’erbacce, illuminazione a giorni alterni. Chiedeteci tutto, ma sull’estetica desistete.
Che ci fai, in pochi mesi, dico io. Servirebbero a stento per dedicarsi a un mezzo isolato, magari con un manto stradale finalmente efficiente e una buona ripulitura delle migliaia di scritte a spray che insozzano i palazzi. Noi siamo come i gabbiani: guai se il mare non fosse sporco, moriremmo di fame.
Perché è nella sporcizia, nel torbido, nell’acqua gialla, che sopravviviamo con i nostri minisoprusi da un centesimo l’uno: divieti di sosta ignorati, “cascettini” per prenotarsi il posto auto sotto casa, la doppia fila strafottente, gli sgabuzzini abusivi sui balconi, l’immondizia fuori orario, le microdiscariche nei parcheggi, le vomitate nelle fontane.
Da dove cominci, a fare bellezza. Da dove lo raddrizzi, questo caos interminabile partito e rimasto senza controllo, col verde pubblico annientato, le casupole addossate, i parchi-casermoni e le follie urbanistiche di “chi poteva”. Dove lo applichi, un piano regolatore (ma è troppo anche chiamarlo così) fatto apposta per spulciargli tra le pieghe e vedere come aggirarlo.
Battipaglia è come doveva essere, non provate a raddrizzare nulla. È il risultato irreparabile d’una macchia d’umido lasciata a macerare, che ha corrotto mura e infissi cambiandogli i colori. È una puzza di malriuscito che alla lunga ci risulta pure gradevole, come quei vecchi profumi al vetiver di nonni che non ci sono più.
Dov’è che si saranno scontrati, la sindaca e Onnembo: boh. Politica a parte, nell’operativo ce n’era eccome, di materia da discutere e su cui non trovarsi d’accordo. A partire dal trapianto di cervello che dovrebbero farci un po’ a tutti, magari nel sonno, quando per qualche ora abbandoniamo quel disamore e menefreghismo che ancora oggi ci fanno restare indifferenti agli scempi.
Una propedeutica formazione ed educazione del cittadino volta a volerla realmente, questa bellezza. Uno sprone ai padri a prendere a sberle i figli quando ignorano e insozzano; una scossa a chi il decoro lo pretende solo in casa propria e non sospetta che, in disarmonia col tutto, diventa solo pignoleria.
Uno dei miei primi datori di lavoro m’insegnò che con la scrivania sporca la giornata pesa di più: due piccoli gesti, sgomberare e passarci un panno umido, avevano il potere di far apparire più sottili le colonne di pratiche da disbrigare.
Come dire: ridare dignità (estetica e funzionale) a questa città pareva essere il leitmotiv di tutti, nella scorsa campagna elettorale. Salvo poi, alla prima cartaccia a terra, fingere che si stava guardando altrove.

24 febbraio 2017 – © Riproduzione riservata
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