Tu Tarzan, noi Jane
[di Ernesto Giacomino]
Poi dicono: lo stallo, il degrado, le opere incompiute. Macché. Non se ne parla, ma Battipaglia si appresta a entrare nel Guinnes dei Primati per aver realizzato il bonsai più grande del mondo: non la miniaturizzazione di un singolo albero o pianta, ma di un’intera savana. Tu arrivi lì, giri, circumnavighi, e via via sulla sinistra eccoti un panorama che nemmeno quei quattro sfigati sulle macchinine di Jurassik Park: tutto un tripudio di canne, felci, rovi, gramigne, parassiti, vipere e cornacchie. E non è detto non ci sia transitato pure un T-Rex, là in mezzo: solo che, essendo anche lui bonsai, sarà finito nello stomaco della prima pantegana affamata.
Tutto in poco più d’un chilometro quadro, nevvero: la rotonda all’uscita dell’autostrada. Ché in fondo, diciamocelo, la genialata è stata proprio quella: piazzarla là, cotanta opera d’arte, di modo che i viandanti ne avessero facile accesso e visione non appena varcata la soglia della città.
Fortuna che è andata così, almeno c’è l’attrazione turistica. Metti ci avessero davvero costruito quello che andavano decantando, parchi e verde attrezzato e mini-centro commerciale: sai la confusione. Un impatto così tranquillo, lindo, ordinato, avrebbe destabilizzato i bagnanti in rotta per il Cilento: ma che è, la Svizzera? E come ci siamo capitati, qua? Maledetto il nonno quando ha insistito che sapeva una scorciatoia.
La verità è che nonostante la costruzione recente, l’adozione dei “più moderni e sicuri sistemi edificatori”, le medagliette in petto autodatesi dai vari amministratori locali che proclamano di averne accelerato la realizzazione (saranno duecento, ad oggi), non c’è niente, in questa città, che mi sappia di più arrangiato, arruffato e approssimativo del nuovo svincolo autostradale. Segnaletica scarsa e provvisoria, la corsia d’uscita per il centro con una discesa d’una pendenza indecente e senza un accenno di canalizzazione, l’altra in direzione Paestum ingolfata in partenza dall’innesto kamikaze della rampa dalla rotatoria. Pare come se per anni (decenni), si sia stati lì minuziosi a misurare con goniometro e compasso per poi, in fretta e furia, ritagliare con l’accetta.
L’escrescenza del paradosso, il totem simbolico di questo “sbrighiamoci e ricopriamo” alla fine, è proprio lì: la rotonda. Enorme e smisurata, triste eredità di un tentativo passato e smorzato dai bollori giustizialisti dei predicatori della neonata Seconda Repubblica, in tutto ‘sto bailamme di restyling e polvere nascosta sotto i tappeti è stata semplicemente ignorata. Anzi: sedotta e abbandonata, atteso che per mesi è venuta comoda per imbottirla di calcinacci e materiali di scarto. Poi, a cose sgomberate e imprese smammate, pasturizzata a crescita vegetale autoctona come natura crea.
Il problema, come sempre, è l’invisibilità. Nessuno vede, nessuno se ne accorge, nessuno commenta. Nessuno s’imbarazza, se la sedicente città capofila della Piana del Sele è annunciata ai visitatori da un immondezzaio d’erbaccia senza controllo. In fondo, come si fa per gli alberghi, stiamo attenti a che l’anticamera sappia qualificarci. Hai visto mai che poi, approfondendo, ci rimangano male.