Ucraina, il paese frontiera

[di Claudia Giorleo]

Nell’aprile del 2016 ero a Kiev e Svetlana Aleksievič, premio Nobel per la letteratura 2015, fu ospite della Università Taras Shevchenko per discutere di un suo romanzo il cui titolo originale, metà in russo (Vremija: tempo) e metà in inglese (Second Hand: seconda mano), rende da subito esplicite le differenze che intercorrono tra il prima e il dopo il collasso dell’Urss. «Ci sembrava che la scelta fosse stata fatta, che il comunismo avesse definitivamente perso. E invece era soltanto l’inizio» scrive a proposito delle grandi trasformazioni nell’area post-sovietica degli anni ‘90.
L’Ucraina è diventata indipendente nel 1991 e chiunque abbia vissuto il passaggio tra il socialismo e il post-socialismo sa bene, infatti, che il post sta ad indicare un cambiamento complesso, tanto rapido da sovrapporsi a vecchie percezioni e nuove proiezioni. «Sono passati cent’anni [Aleksievič si riferisce alla Rivoluzione d’ottobre] e di nuovo il futuro non è al suo posto. Siamo entrati in un tempo di seconda mano». Eppure, già prima del 1989, con l’incidente a Chernobyl si ebbe la sensazione che niente sarebbe stato più come prima. I movimenti della nube tossica mostrarono la porosità dei confini geografici che non potevano essere più concepiti come linee che segnano l’inizio e la fine di un dato territorio nazionale. Non solo: l’incidente rivelò quanto si fosse dipendenti dai media per ricevere informazioni e compiere valutazioni sui rischi. Cosa sarebbe successo se i media in tutto il mondo non avessero fatto circolare le prime parziali notizie confermate più tardi dalle autorità sovietiche?
Così come oggi: quale sarebbe la portata del conflitto in corso senza l’eco dei social che spingono a sostenere una parte oppure l’altra? Quanto ne sapremmo, davvero, di Ucraina? A me è sembrato di trovare sempre traccia del passato sovietico anche nei quartieri di più recente costruzione di Kiev o a Majdan Nezaležnosti (letteralmente: Piazza dell’Indipendenza), uno spazio dilatato e potente dove si colgono bene, attraversandolo, i caratteri simbolici fondativi. Ma sarebbe impreciso affermare che lo spazio post-sovietico ucraino è uno spazio politico omogeneo: la sua storia si rifà ad un concetto di nazionalità più che ad uno di nazione ed è importante tenere presente le differenze esistenti tra l’elemento ucraino che convive con quello russo, polacco, ebraico, tataro. La continuità statale ucraina non è considerata abbastanza lunga da essere riconosciuta a livello europeo. E poi, in Ue, usiamo benissimo la sineddoche per chiamare Europa il solo ritaglio occidentale. Alla storia, più che alla geografia, ai governi più che ai popoli bisogna guardare per problematizzare il misconoscimento internazionale delle questioni ucraine, che si fa specchio del conflitto in corso. Ucraina, tant’è, significa paese-frontiera.

12 arzo 2022 – © Riproduzione riservata

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