Un bacio velenoso | di Fausto Bolinesi

Erano gli anni in cui uomini e donne pensavano di rendersi attraenti irrobustendo pettorali, bicipiti, addominali e glutei. La moda di tatuaggi e spilloni infilati nei punti del corpo più impensabili e dolorosi era ancora di là da venire. Cosimo, con esercizi continui, aveva reso ancora più robusto e armonioso il bel fisico che madre natura gli aveva concesso e che metteva generosamente in mostra sulle spiagge del litorale tra Eboli e Battipaglia, anche se qualche volta si spingeva fino a Paestum dove era più facile imbattersi nella “straniera”. Cosimo piaceva alle donne e i suoi tre amici lo sapevano e non ne erano affatto invidiosi, anzi, consideravano ogni sua conquista un po’ anche la loro: erano conquistatori per procura. Cosimo stesso, del resto, non era uno sbruffone, semmai un guascone trentacinquenne figlio unico di genitori benestanti. Un giorno di fine agosto uno degli amici gli riferì che suo fratello, nella spiaggia libera accanto al lido a Paestum in cui lavorava come barman, aveva notato la presenza di una bella quanto misteriosa ragazza, sicuramente straniera, che arrivava nel tardo pomeriggio, si sdraiava su un telo e alternava la lettura di un libro alla contemplazione del mare. Non era accompagnata da nessuno, ma inevitabilmente catturava l’attenzione della giovane e meno giovane fauna maschile locale che le ronzava intorno. A questa fauna ronzante si unì Cosimo il giorno successivo, accompagnato dai suoi amici che però si tennero a debita distanza. Da esperto playboy Cosimo si fece notare in modo discreto da quella ragazza alta, bionda, dai lineamenti delicati del viso ingentilito da lentiggini che le conferivano l’aspetto tipico della mitizzata bellezza nordeuropea. “Tempo cinque giorni e la bacio”, promise Cosimo al volante della Fiat Ritmo del padre mentre tornava a casa con gli amici. “Ti conviene affrettare i tempi – rispose l’amico – mio fratello mi ha detto che dopodomani lei va via”. 

E Cosimo affrettò i tempi: il giorno seguente si sedette più vicino alla ragazza che sollevava spesso lo sguardo dal libro per rivolgerlo a lui. Il pomeriggio successivo Cosimo non le si sedette accanto, ma restò in piedi sulla riva a osservare il mare per qualche minuto, poi entrò in acqua e si fermò quando questa arrivò all’altezza della cintola. Incredibilmente dopo un paio di minuti la ragazza lo raggiunse. Gli amici videro Cosimo avvicinarsi a lei e improvvisamente afferrarla e baciarla. Furono colpiti dalla violenza del gesto e dalla durata: per mezzo minuto Cosimo tenne stretta fra le sue braccia muscolose quella fragile bellezza, e schiacciò quelle delicate labbra nordiche con le sue, mediterranee e carnose. Lei restò sorpresa, quasi soffocata da quello che più che un abbraccio era una morsa. Poi, senza dire una parola, Cosimo si girò e tornò lentamente verso riva. Gli amici lo videro incamminarsi sulla battigia in direzione di Agropoli finché lo persero di vista. Colpiti dalla decisione, dalla forza che sfiorava la brutalità di quella conquista, da quel giorno Cosimo per gli amici divenne un mito. 

Anche perché lui si guardò bene dal raccontare che il suo non era stato un bacio, ma solo il modo di soffocare l’urlo per il dolore provato quando, proprio mentre stava per baciare la ragazza, aveva calpestato una maledetta tracina.

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