Un’inchiesta | di Lucio Spampinato

Quando arrivò il Consulente, l’uomo era ancora nella posizione in cui lo avevano trovato, cioè per metà seduto sulla sedia della scrivania e in parte penzoloni, in una posa innaturale nella quale la morte lo aveva colto. Il Consulente pensò che quella postura sfidava le leggi della fisica. Eppure, il corpo non cadeva. Sulla testa sangue rappreso che gli copriva le orbite di una vasta stimmate rosso scuro; le mani, ancora protese verso la tastiera del pc, sembravano essersi ritirate verso il bordo della scrivania, con uno sforzo sovrumano, nel tentativo di non cadere. Il vice questore aggiunto Zuccarello andò incontro al Consulente e, ossequioso e untuoso come si conviene a chi abbia a cuore la carriera, cominciò a sciorinare tutte le informazioni in suo possesso, nel frattempo trasferitegli dai subalterni. Il morto si chiamava Enrico Civale, impiegato alla Costruzioni Generali Srl, geometra, esperto di informatica e specialmente di AutoCAD Architecture. Single, vita tranquilla, nessun vizio, apparentemente una bravissima persona. In una breve ricognizione della stanza, il Consulente accennò a toccare il mouse ma gli fu fatto segno di indossare dei guanti. “Sa!” disse il vqa “La scientifica non è ancora arrivata”. Il Consulente indossò i guanti, mosse il mouse e lo schermo si accese. Vi comparve solo una scritta indecifrabile:

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Il consulente estrasse un taccuino dalla tasca interna della giacca e si annotò la stringa alfabetica. Nel frattempo, annunciata da un rumorio simile a quello che fanno i battitori nella caccia alla tigre, arrivò la Polizia Scientifica e tutti i presenti uscirono. Il vqa Zuccarello propose di prendere un caffè e si avviarono insieme ad un ispettore verso l’isolato di fronte al Gran Caffè Aurora. Il Consulente continuava a sbirciare il suo taccuino, come a voler risolvere una sciarada: nel frattempo si sedettero ad un tavolino. 

«Che cosa ne pensa, dottore?» chiese Zuccarello, rompendo il silenzio dopo che tutti ebbero bevuto il caffè. Il Consulente rimase a rimuginare su quei caratteri giustapposti in modo misterioso ma che nella sua testa sembravano cominciare a prendere corpo in forma di parole sensate. Quando si avvicinarono alla cassa per pagare, il Consulente parve ipnotizzato dalla tastiera della commessa. Cominciò ad agitare nel vuoto le dita, come se volesse comporre una frase. Ad un tratto si illuminò e disse: «Bisogna arrestare l’onorevole Franco Soriano!». L’ispettore Luce, che era alle spalle del Consulente, intercettò lo sguardo del vice questore aggiunto Zuccarello e, sollevando la mano destra all’altezza della tempia e con le cinque dita raccolte a calice, le ruotò in senso antiorario come a voler avvitare una lampadina, in una ipotiposi meno celebrata in prosa ma più universale. Il segno era chiaro: «Il Consulente è matto». «Guardi che l’ho vista nel riflesso del vetro!». L’ispettore arrossì violentemente mentre il vqa gli mandava un’occhiataccia. Il Consulente proseguì: «La vittima ha digitato velocemente il suo ultimo messaggio con la vista annebbiata dal sangue e ha cominciato a scrivere partendo non dalla E ma dalla R. Se spostate di un carattere a destra quella frase apparentemente incoerente, leggerete: E STATO FRANCO SORIANO».

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