Via Roma caput mundi
[di Ernesto Giacomino]
Spiace dare cattive notizie, ma quel fatto che in città si sia ritrovata una tomba di diciassette secoli fa non significa che il battipagliese è figlio illegittimo e disconosciuto degli antichi romani.
Cioè, è chiaro che ognuno di noi, a scavargli nell’albero genealogico fino all’alba dei tempi, discende da un popolo antico, e sicuramente nel mondo c’è una fetta corposa di gente che annovera tra gli antenati gladiatori, proconsoli e pretoriani di stanza al Colosseo. Ma, come dire, si tratta d’una parentela dinamica, non stanziale, figlia dei movimenti migratori e delle occupazioni: di qua ci sono passati un po’ tutti, etruschi e greci e normanni e longobardi, e state certi che parecchi di noi ne conservano almeno un pezzettino minuscolo nel dna, ma questo non basta a tipizzare etnicamente un territorio né a parlare di origini e radici. Metti ci avessero trovato i resti d’un’antica civiltà cinese, che avrebbero detto? Che in origine avevamo tutti gli occhi a mandorla ma che poi si sono ovalizzati per il troppo vento?
Nessuno, è ovvio, potrà mai condividere geni col povero tizio di cui abbiamo ritrovato le ossa: il fatto che i romani siano stati qua non significa che vi abbiano messo tende e si siano riprodotti per secoli fino a creare una qualche micro-comunità che ha originato quella attuale.
Sono tracce di chi ci ha abitato prima di noi, tutto qua, ed è impensabile che qualcuno non l’avesse fatto.
Battipaglia non è antica, allora? Certo che lo è: geograficamente ha quattro miliardi di anni, esattamente come ogni altro angolo del pianeta. Antropologicamente pure: ha più di quaranta millenni di storia, pari alla distanza temporale tra l’era attuale e quella in cui l’homo sapiens arrivò in Europa. Ma quando parliamo di storia “sociale” possiamo riferirci esclusivamente all’esperienza comune, a quel continuum ininterrotto di usi, accadimenti e tradizioni in grado di legare indissolubilmente i battipagliesi di oggi a quelli di ieri. E, in quest’ottica, un vero riallaccio con gli “antichi” possono permettersi di farlo pochi posti al mondo.
Quella tomba è affascinante, suggestiva. E se fosse solo il tratto emerso di una necropoli narrerebbe di un vero e proprio insediamento: e mette i brividi – sì che li mette – il solo pensiero che dove ora c’è un palazzo potesse, ai tempi, esserci altro: un’antica bottega, un luogo di culto, un monumento.
Ma resta l’evidenza che chiunque ci vivesse, qua, diciassette secoli fa, poi se n’è andato. Forse per qualche tara climatica che ha reso i luoghi inospitali (sarà sempre stata palude, qui, o è intervenuto un qualche fenomeno geofisico particolare?), forse perché ritenuta una zona poco strategica per il commercio, le coltivazioni, la difesa dal nemico.
Fatto sta che quelli erano loro, e noi siamo noi. Gente che c’è capitata insomma, contro gente che scientemente ha scelto di viverci e che rappresenta una macchia allargatasi nella dimensione spazio-temporale (un po’ per amichevole aggregazione, un po’ per biologica riproduzione) di quei primi coloni arrivati qui due secoli fa.
Quando qualunque cosa ci fosse stata prima se n’era andata per sempre. Sancendo, definitivamente, il momento di rimboccarsi le maniche e cominciare daccapo.
4 novembre 2023 – © riproduzione riservata