Wake guapp’, guagliù…

[di Ernesto Giacomino]

Regole fai da te. È una prerogativa solo nostra, autoctona, spontanea. Tirata giù da quel diritto positivo, non scritto, secondo cui la libertà di un battipagliese educato comincia dove finisce quella dei battipagliesi mefreghisti.
Per cui, punto uno: la fila. Vaglielo a spiegare, agli utenti nostrani di poste e banche, che non basta prendere un numerino più basso del tuo per sbrigarsi prima di te. Deve pure stare lì, quando chiamano il suo numero. Fare lo stesso sacrificio richiesto a tutti: aspettare. E invece no: li vedi arrivare trafelati alla macchinetta, strappare il biglietto, andarsene al bar, al punto Snai, alla conferenza condominiale sul muflone pomellato, e poi tornare abbondantemente dopo il loro turno ululando un po’ a tutti “Eh, scusate, ho il 37, fa niente se siete a 50, vengo comunque prima di tutti”. Come dire: al diavolo millenni di evoluzione sociale, è solo un nuovo gioco da circoletto, la carta alta perde e torna nel mazzo.
Punto due: la segnaletica in economia. Roba per cui, fidatevi, ci iscriveranno negli annali dell’inciviltà creativa. Può davvero un popolo intero sopportare che per qualcuno basti comprare una tabella alla ferramenta e attaccarla al garage per acquisire magicamente il diritto al passo carrabile? O, ancora peggio, minacciare con quel “non sostare” (spesso accompagnato da un ridicolo tentativo di dipingere un divieto di sosta) scritto senza nessun titolo sulla saracinesca? No? E invece sì: il famoso quieto vivere, lascia sta’, troviamo un altro posto. In barba a chi il passo carrabile lo paga davvero, solo qui l’atavico legame tra ignoranza e prepotenza consente non solo di esercitare un potere che non si ha, ma addirittura di estenderlo: oh, vieni a trovarmi quando vuoi, ci ho sempre un parcheggio libero, proprio davanti al garage. Tranquillo, non me lo tolgono: ci ho dipinto anche un bel rettangolo di abusivissime strisce gialle per rafforzare il concetto.
Laddove, poi, scarseggiassero i liquidi per la puntatina alla ferramenta o l’ortografia per il comandamento da saracinesca, c’è sempre la soluzione d’emergenza: il “cascettino”. Una tradizione antica, consolidata: la nobile evoluzione dell’uso di occuparsi la poltrona a teatro mettendoci il cappello. In pratica funziona così: c’è un posto auto libero, non mi serve ora, con la macchina rientrerò fra tre ore, che faccio? Semplice: me lo prenoto. Impedisco agli altri di parcheggiarci occupandolo con quello che capita: una sedia, un fusto di pittura, una suocera obesa. Anche se, in realtà, la soluzione preferita resta comunque la cassetta vuota per la frutta (il “cascettino”, appunto), perché più convenzionale: è come un messaggio in codice, un archetipo, un emblema universalmente riconosciuto e accettato. Nel senso: prova a toglierlo, un cascettino. Parcheggiaci tu e aspetta le reazioni. La discesa degli Unni, al confronto, ti parrà una convention di mormoni.
Perché, questo? Semplice: perché, senza controllo, l’educato tollera e il cafone impera. Perché nessun bancario interviene a ristabilire l’ordine della fila, come nessuna autorità – pur vedendoli – fa rimuovere d’ufficio cascettini e strisce gialle. In fondo, come si dice: finché ci si scanna fra noi…

25 febbraio 2016 – © Riproduzione riservata

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